Il cineasta torna a rivisitare la Storia italiana e con essa a toccare il sublime. Fabrizio Gifuni perfetto nei panni del presidente della Dc sequestrato e ucciso dalle Br, Margherita Buy interpreta Eleonora Moro e Toni Servillo è un intenso Paolo VI
Aldo Moro vive. A prescindere. Anzi, proprio per confessare il suo j’accuse verso chi ne permise la condanna a morte. Perché il grande cinema sa penetrare la Verità usando la finzione e in pochi, quanto Marco Bellocchio, ne sono maestri. Così accade che con la sua arte il Maestro torni a rivisitare la Storia italiana attraverso la tragedia di Moro, e con essa a toccare il sublime.
Si ravvisa infatti tutta l’essenza dell’anima, intelligenza e cuore del grande cineasta piacentino in Esterno notte, “opera audiovisiva” di altissimo livello artistico e politico, film a lunghezza seriale concepito per cinema e tv, del resto per Bellocchio “serie… film: ha poca importanza l’aspetto terminologico, più che altro per questo racconto lungo e complesso si è subito capito che era necessario un tempo maggiore di quello di un film, e la forma seriale si è imposta nella sua scansione di sei episodi”. Così, il “controcampo” di Buongiorno, notte lo vedremo in due “momenti” e su schermi differenti: come film al cinema diviso in due parti, la cui prima esce oggi in contemporanea alla presentazione in prima mondiale al Festival di Cannes (la seconda invece è prevista per il 9 giugno) mentre in autunno sarà trasmessa come serie in sei episodi su Rai 1.
“Sentivo che era importante, almeno per me (non per l’Italia, non ho questa presunzione) dopo Il Traditore, ritornare sull’argomento – ha sottolineato Bellocchio. “Ho voluto stavolta farne una serie per raccontare l’Esterno di quei 55 giorni italiani stando però fuori dalla prigione tranne che alla fine, all’epilogo tragico. Esterno notte perché stavolta i protagonisti sono gli uomini e le donne che agirono fuori della prigione, coinvolti a vario titolo nel sequestro: la famiglia, i politici, i preti, il Papa, i professori, i maghi, le forze dell’ordine, i servizi segreti, i brigatisti in libertà e in galera, persino i mafiosi, gli infiltrati”.
Sceneggiato dallo stesso Bellocchio con Ludovica Rampoldi, Stefano Bises e Davide Serino, Esterno notte accorpa un cast d’eccellenze e talenti senza precedenti in un’opera italiana formato seriale: Fabrizio Gifuni nei panni di un Aldo Moro perfetto, Margherita Buy in quelli di una magnifica Eleonora Moro, Toni Servillo è un intenso Paolo VI, Fausto Russo Alesi è un sorprendente quanto dolente Francesco Cossiga, a cui si aggiungono Paolo Pierobon, Gabriel Montesi, Daniela Marra, Pier Giorgio Bellocchio, Gigio Alberti e diversi altri. Sono tutti, nessuno escluso, al servizio di questo progetto straordinario offrendo il meglio del proprio repertorio interpretativo, del loro “corpo” vittima e carnefice dentro la Storia, portatori di uno stato di grazia indubbiamente necessario per la credibilità dei personaggi in questione, ma non del tutto scontato.
Ma se è vero che per Bellocchio l’evidente attualità della “vicenda Moro” sia ancora ignota (“non lo so, mi fido solo del mio istinto, di quello che sento di voler fare”) è invece chiarissima nella mente di Fabrizio Gifuni, che sul corpo/anima di Aldo Moro ha lavorato in più di un’occasione. “Non possiamo lasciare nella rimozione collettiva una pagina così tragica della Storia, delegandola a una storia di martirio, come se non ci riguardasse. Ciò che sta succedendo negli ultimi mesi ci riporta a un legame della Storia non solo nostro Paese, la vicenda Moro non sarebbe comprensibile se non nell’ottica di tempesta perfetta internazionale”.
Affrescando Esterno notte, si diceva, Marco Bellocchio utilizza il proprio repertorio artistico, poetico e tematico in una sorta di summa ideale. Il suo straordinario teatro della Storia, la sua costante elaborazione della colpa e del lutto intimo e collettivo rispondono a una “messa in scena” (in campo e fuori campo) onirica, grottesca, psicanalitica, tragica, meta-linguistica, alienante, puntuale, colta e – non per ultimo – profetica. Perché il valore profetico dell’arte, alla fine, resta la chiave d’accesso più valida a cogliere il senso della nostra esistenza nella Storia.