Via i giudici onorari, arrivano i magistrati fiscali professionali selezionati per concorso. È la maggiore novità contenuta nel disegno di legge di riforma della giustizia tributaria, l’ultima scadenza – dopo le riforme del processo penale, del processo civile e dell’ordinamento giudiziario – del “pacchetto giustizia” legato al Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’ok al provvedimento è arrivato martedì all’unanimità in Consiglio dei ministri. Vanno in pensione le commissioni tributarie come le conosciamo, composte solo da giudici onorari part-time (scelti tra i magistrati ordinari e altre categorie professionali, come notai, commercialisti e avvocati): in futuro saranno formate da magistrati tributari professionali a tempo pieno, con una retribuzione fissa equiparata a quella dei magistrati ordinari, reclutati attraverso concorsi per esami banditi ogni anno dal ministero dell’Economia.
Proprio quest’ultimo aspetto lascia perplessa una parte degli addetti ai lavori, che sottolineano l’accentramento di poteri in capo al governo: con le nuove regole, infatti, oltre a decidere le norme fiscali e a gestire la riscossione, il Mef selezionerebbe anche i giudici che decidono sui contenziosi. I più critici, com’è ovvio, sono gli attuali magistrati, che rimarranno in servizio in un ruolo a esaurimento e hanno proclamato lo stato di agitazione. I giudici tributari “in servizio al 2021 erano circa 2638, di cui 1833 presso le 103 commissioni provinciali e 805 presso le 21 commissioni regionali”, si legge nel comunicato dell’Associazione magistrati tributari (Amt). La riforma “riduce il numero dei giudici a 576 giudici professionali, di cui 450 presso le 103 commissioni tributarie provinciali e 126 presso le 21 commissioni tributarie regionali”, taglio che “comporta uno svuotamento delle commissioni. Ed è propedeutico all’accorpamento delle sedi”.
Poco convinta anche Forza Italia, che pur avendo votato a favore annuncia la presentazione di emendamenti in Parlamento. La capodelegazione azzurra Mariastella Gelmini ha presentato in Cdm un documento in cui si legge che far selezionare i giudici dal Mef significa “lasciare un’ombra sulla terzietà del nuovo magistrato delineato dalla riforma”. Tra le altre previsioni del ddl c’è la competenza del giudice monocratico (e non più di una commissione di cinque magistrati) per le cause di valore inferiore a tremila euro (circa la metà dell’attuale peso del contenzioso) e l’estensione dell’istituto della conciliazione per quelle fino a cinquantamila euro, nonché limiti all’appello e un aumento del contributo unificato per i ricorsi (un’altra previsione che non piace ai berlusconiani). Inoltre, l’età pensionabile dei giudici viene abbassata da 75 a 70 anni, in linea con quella delle altre magistrature.