“Al ristorante un uomo dopo aver visto il conto: cameriere, ma si rende conto. Un piatto di spaghetti e un’insalata: 120 mila lire. Mi faccia almeno uno sconto. ‘No, noi non facciamo sconti’. ‘Ma come a un collega?’. ‘Perché lei fa il ristoratore?’. ‘No, il ladro’. Chi l’avrebbe mai detto che il boss Giuseppe Graviano era un appassionato di barzellette demenziali ? Vere e proprie freddure, come questa: “Due amici in auto: ‘Attento, c’è scritto curva pericolosa’. ‘Appunto, per questo sto andando dritto'”. Ma erano barzellette quelle che Graviano inviava in alcune lettere al cugino Salvo? O erano messaggi in codice per investire il tesoro di famiglia? Se lo chiede Salvo Palazzolo ne I Fratelli Graviano, edito da Laterza. Il libro sarà presentato a Milano, al Tempio del Futuro Perduto di via Luigi Nono 9, mercoledì 1 giugno alle ore 19.
Esperto cronista di giudiziaria, inviato speciale del quotidiano La Repubblica, Palazzolo ha seguito indagini e misteri delle stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ha svelato spesso in esclusiva i racconti dei pentiti e le ultime piste battute dagli inquirenti sulle bombe degli anni ’90. Una strategia di attacco allo Stato che porta a Brancaccio, quartiere alla periferia sud est di Palermo, il regno di Giuseppe e Filippo Graviano. Sono i figli di Michele, un boss che negli anni ’70 aveva fatto i soldi investendo al nord Italia: non si è mai capito dove e in che cosa. Poi nel 1982 viene assassinato e la guida della famiglia passa ai due figli più piccoli: Filippo, che è la mente economica dei clan, e Giuseppe, violento e spregiudicato che i suoi uomini chiamano Madre natura.
È partendo dalle dichiarazioni che Madre natura ha fatto al processo ‘Ndrangheta stragista che Palazzolo fa partire la sua inchiesta sui boss di Brancaccio. Davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, infatti, Graviano è arrivato a sostenere che la sua famiglia era in affari con Silvio Berlusconi, che lui stesso lo ha incontrato addirittura tre volte a Milano da latitante, che imprecisati “imprenditori del nord non volevano che le stragi si fermassero”. Parole che l’avvocato dell’uomo di Arcore ha sempre smentito nettamente. A sentire Graviano a tenere i rapporti con Berlusconi era suo cugino Salvatore, lo stesso al quale inviava quelle lettere con le barzellette demenziali. Ma pure evocative massime religiose. Come questa: “In questo mondo, Gesù ci ha dato il corpo per servire, perciò vivere 10 anni, 30 anni, o 100 anni non cambia niente, siamo di passaggio, l’importante è vivere in rettitudine per presentarsi davanti a Dio con l’anima pura”.
Palazzolo nota come le cifre scritte da Graviano – 10, 30, 100 – sembrino rate da riscuotere: “Ma in questo caso, sta dicendo, non gli interessano. Invoca piuttosto l’importanza di “vivere in rettitudine per presentarsi a Dio con l’anima pura”. Che vuol dire? E’ un altro messaggio in codice? Una minaccia a qualcuno che non ha rispettato i patti? D’altra parte se c’è qualcuno che custodisce tutti i segreti delle stragi quello è proprio Giuseppe Graviano. Il boss che insieme a Matteo Messina Denaro, l’ultimo inafferrabile latitante di Cosa nostra, ha gestito tutta la fase operativa della stagione delle bombe. Il tesoro mai trovato, i retroscena delle stragi, i misteri mai svelati sulla loro detenzione: è su questi segreti che indaga il libro di Palazzolo. Per esempio: come hanno fatto a ingravidare le rispettive mogli nonostante fossero reclusi al 41bis? Una risposta può essere nascosta sempre nelle lettere che Giuseppe invia a sua madre: “Avete regalato a mia moglie il vaso con i bulbi?”: “Ci stiamo pensando perché i fiorai li sconoscono e ci devono dare una risposta, ma non preoccuparti che al più presto il vaso con i bulbi lo avrà tua moglie”. Parlano per caso di profette per l’inseminazione artificiale?
Ma non ci sono solo i segreti e i misteri dei boss delle stragi nel libro di Palazzolo. Una parte del saggio è dedicata alla figura di padre Pino Puglisi, il sacerdote che si era messo in testa di fare la rivoluzione a Brancaccio. È per questo motivo che i fratelli Graviano ordinarono il suo omicidio, il 15 settembre del 1993. Quando parla di Puglisi, Palazzolo per la prima volta usa la prima persona. E racconta di essere cresciuto col sacerdote, nella Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana. “Una sera di inizio settembre, poco dopo l’ora di cena, telefonai a don Pino Puglisi per preparare il consueto incontro settimanale della Fuci. All’epoca, ero il responsabile del gruppo di Palermo, e don Pino era il nostro assistente. Mi disse quasi subito: ‘Quest’anno non sarò con voi, dovrete cercarvi un altro assistente’. Gli risposi: ‘Troveremo il modo di far conciliare tutti i suoi impegni con la Fuci’. Non disse altro”. I Fratelli Graviano di Palazzolo non è solo un libro d’inchiesta, ma pure la chiusura di un cerchio personale. Un cerchio aperto quasi trent’anni fa.