Davvero Giovanni Malagò, presidente del Coni, funzionario pubblico, sincero appassionato di qualsiasi sport (forse un po’ meno di tennis), ha provato a “sabotare” gli Internazionali di Roma, chiedendo al governo l’esclusione dei giocatori russi che sarebbe stata un disastro per la manifestazione? Il sospetto aleggia da settimane, tanto da diventare una vera e propria accusa, prima da parte del numero uno della FederTennis, Angelo Binaghi, poi rilanciata sui social dall’ex M5s, Alessandro Di Battista. “Ha chiesto al governo di intervenire nell’autonomia dello sport, proprio lui che in passato se ne era lamentato”, ha denunciato Binaghi. “In un Paese normale Malagò dovrebbe dimettersi all’istante”, ha rincarato Di Battista. “Un attacco inelegante, sbagliato, non vero e sgrammaticato”, la replica di Malagò, a cui è venuta in sostegno anche una smentita di Palazzo Chigi.
Per capire come siano andate le cose, bisogna riavvolgere il nastro di settimane. È da febbraio che Malagò parla (o straparla, secondo i detrattori) di chi avrebbe dovuto o meno partecipare agli Internazionali. Il primo bersaglio era stato Novak Djokovic, quando ancora non era scoppiata la guerra in Ucraina e il dibattito era monopolizzato dal Covid, e della mancata vaccinazione del campione serbo: dopo la sua esclusione da vari tornei, il n.1 del Coni aveva auspicato il bando anche dagli Internazionali. “Sarebbe un messaggio sbagliatissimo”, benché la normativa italiana prevedesse diversamente. Poi, a metà aprile, è toccato ai tennisti russi, con Malagò che approvava l’esclusione da parte di Wimbledon e si augurava lo stesso in Italia: “Sono convinto che il governo farà la scelta migliore”.
Se le dichiarazioni fossero in buona o cattiva fede, lo sa solo il diretto interessato. Le sue parole si possono facilmente spiegare col solito presenzialismo di Malagò, che ama spaziare a tutto campo e pronunciarsi su ogni argomento (anche a costo di scivolare fuori dal seminato). Né bisogna dimenticare il suo rapporto col Cio, che rappresenta in qualità di membro dell’esecutivo, e a cui deve tanto per averlo spalleggiato nella lotta contro la riforma dello sport: il tennis è una delle poche discipline a non bandire anche a livello individuale gli atleti russi, ignorando le indicazioni del Comitato internazionale. Il Cio ha comunque lasciato ampio margine di manovra alle organizzazioni private che hanno vincoli legali, come appunto l’Atp. Dunque non c’era nessun obbligo di esclusione per il Foro Italico, che anzi sarebbe andato incontro a pesanti conseguenze. Malagò non poteva non sapere che con le sue parole avrebbe creato problemi al suo arcinemico Binaghi, e probabilmente è un caso: così diversi (uno sardo, ingegnere e spigoloso, l’altro massimo esponente del generone romano), rivali da sempre, i due non perdono occasione per attaccarsi, come successo anche per questi Internazionali. Di qui a parlare di sabotaggio ce ne passa.
Certo è che proprio in quei giorni qualcuno a Palazzo Chigi ha pensato davvero a escludere i russi dal Foro Italico. È successo a cavallo tra il 20 e il 22 aprile, quando Mario Draghi si era infervorato sulla questione. E, come può rivelare Ilfattoquotidiano.it, dagli uffici del presidente del Consiglio (non da lui in persona) era partita anche una chiamata verso la FederTennis, per chiedere una soluzione che non esisteva. “O li escludete voi con un provvedimento governativo, e ve ne assumete la responsabilità, o noi non possiamo fare nulla”, la risposta. Poi la questione è passata in sordina. Ma chi aveva suggerito un’idea che alla presidenza del Consiglio, in ben altre faccende affaccendato, probabilmente non sarebbe mai venuta? Il presidente Binaghi (e non solo lui) resta convinto che sia stato Malagò, che a Palazzo Chigi ha da sempre ottimi contatti. Un sospetto che non ha trovato prove (anzi, solo la smentita ufficiale del governo) ma che continua a ronzare nella testa dei suoi avversari. Poi per fortuna il torneo si è giocato lo stesso e l’ha vinto proprio Djokovic, che Malagò non avrebbe voluto a Roma, battendo tutti i rivali, russi compresi. È il bello dello sport: alla fine, il campo ha sempre ragione.
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