Per tutto questo tempo ha dato la colpa del suo malessere all'incidente che gli ha stravolto la vita poi, però, un giorno è arrivata la telefonata della polizia che gli ha rivelato un'altra verità: è sopravvissuto all'attacco del più feroce serial killer tedesco che altri non era l'uomo che diceva di essere suo amico e di avergli salvato la vita
“Perché mi sono sentito così male per dieci anni? Perché ero così instabile? Col senno di poi, capisco”. Per tutto questo tempo ha dato la colpa del suo malessere all’incidente che gli ha stravolto la vita poi, però, un giorno è arrivata la telefonata della polizia che gli ha rivelato un’altra verità: è sopravvissuto all’attacco del più feroce serial killer tedesco che altri non era l’uomo che diceva di essere suo amico e di avergli salvato la vita. Protagonista di questa incredibile vicenda avvenuta a Ganderkesee, in Bassa Sassonia, in Germania, è Matthias Corssen: il 21 giugno del 2004, quando aveva 29 anni, è stato investito con la sua auto da un camioncino che consegnava pizze. Lui non ricorda niente se non una sensazione di shock, un colore verde “seguito da una luce scintillante e brillante”, come si legge sui media tedeschi che danno la notizia.
Il referto medico attesta che dopo l’incidente aveva una “lacerazione sul sopracciglio sinistro” ma era comunque “normalmente reattivo” salvo svenire improvvisamente e andare in arresto cardiorespiratorio mentre era tra le braccia di un soccorritore. Attenzione, quell’uomo non era un soccorritore qualunque: era un suo amico e collega, Niels Högel, volontario sulle ambulanze e infermiere all’ospedale di Delmenhorst. Subito intubato, è stato portato con l’elisoccorso in ospedale e gli esami hanno accertato un trauma craniocerebrale con emorragie minori: per più di 24 ore è stato in coma, poi si è risvegliato. Tutto bene quel che finisce bene? Decisamente no, perché proprio da quel momento inizia il calvario di Corssen: ha disturbi motori, continui problemi di salute a cui si aggiungono quelli mentali come la depressione. Si sente assillato da “una sensazione indefinibile” e non sa come uscirne.
Accanto a lui c’è sempre l’amico Niels Högel, che gli ripete: “Puoi essere contento che siamo stati noi i primi ad arrivare a soccorrerti e non dei dilettanti”. Ad un certo punto, l’uomo viene accusato di aver causato la morte, iniettandogli un farmaco per il cuore, di un malato di cancro ricoverato nell’ospedale in cui lavora. Corssen, per gratitudine visto che lo aveva soccorso sul luogo dell’incidente, lo ospita a casa sua, per qualche giorno. Poi, mesi dopo, sui media tedeschi inizia a circolare la notizia di un feroce serial killer che induceva l’arresto cardiaco nei pazienti ricoverati in terapia intensiva iniettando loro farmaci potenzialmente letali, in modo da rianimarli e prendersi il merito di averli salvati. Il nome dell’omicida in questione è Niels Högel. E non si tratta di omonimia.
Dopo un processo durato 13 anni e “dopo molti tentativi di insabbiamento da parte dei superiori e innumerevoli errori giudiziari”, l’uomo viene condannato in via definitiva e diventa ufficialmente il più feroce serial killer della Repubblica Federale tedesca, responsabile di almeno 91 morti, di cui 87 omicidi, in cinque anni. Si riapre così anche il caso di Corssenn: le indagini della polizia accerteranno che, dopo l’incidente, non svenne per la botta alla testa ma perché – “con una probabilità che rasenta la certezza” – Högel gli iniettò una potente droga che gli provocò l’arresto cardiaco, apposta per salvarlo e prendersi poi il merito del salvataggio.
Così, Corssen ha scoperto di essersi salvato incredibilmente dalle grinfie dell’insospettabile serial killer, il quale, nel fargli l’iniezione, aveva messo in conto la sua possibile morte. Non solo: l’uomo ha capito che nel suo subconscio, in realtà, ha sempre saputo cosa fosse realmente successo e questo spiega perché non sopporta l’idea di avere un’iniezione, o di rivolgersi al pronto soccorso, o perché in alcuni periodi solo il pensiero di aver rivisto Högel per strada gli abbia fatto venire le convulsioni. E pensare che lo considerava un amico e lo ha anche ospitato in casa propria.