Non solo Eni. Mentre la Ue arranca sull’embargo al petrolio russo, molte volte annunciato e altrettante rinviato, il vice primo ministro russo Alexander Novak fa sapere che circa la metà dei clienti del colosso russo del gas Gazprom ha aperto conti con Gazprombank per effettuare pagamenti secondo la nuova modalità stabilita dalla Russia, cioè in rubli. “Circa 54 aziende, grandi, medie e piccole, hanno accordi con Gazprom Export. Secondo le mie informazioni, circa la metà ha già aperto conti speciali nella nostra banca autorizzata, in valuta estera e rubli“, ha sottolineato secondo quanto riporta Interfax. Novak ha poi aggiunto che alcune grandi compagnie hanno già pagato il gas russo secondo la nuova modalità e presto saranno disponibili i dati che attestano chi ha pagato in rubli e chi si è rifiutato di farlo.
Sulla legittimità di queste mosse Bruxelles è apparsa balbettante e divisa, ma giovedì il portavoce della Commissione Eric Mamer ha affermato che la situazione è chiara: come detto dal vice presidente Frans Timmermans “è possibile aprire un conto” presso Gazprombank “in euro o dollari ma “rispettare il decreto del Cremlino” pagando in rubli “non è in linea con le sanzioni. Se Gazprombank prende la somma e la colloca in un secondo conto in rubli aperto a suo nome, questa è un’altra cosa”. La precisazione, ha detto Mamer, non contraddice le parole del commissario all’Economia Paolo Gentiloni, che ieri ha dato via libera ai pagamenti in euro o dollari ma “non ha mai parlato di un secondo conto in rubli”. Sembra di capire, dunque, che tutte le società che hanno aperto conti in rubli – come Eni – stiano violando l’applicazione delle sanzioni.
Una settimana fa il premier italiano Mario Draghi aveva parlato di “zona grigia” perché “non c’è nessuna dichiarazione ufficiale che i pagamenti in rubli violino le sanzioni”. Preso atto che c’erano margini di manovra, l’altroieri il Cane a sei zampe ha rotto gli indugi e fatto sapere di aver avviato “in via cautelativa”, in vista delle “imminenti scadenze di pagamento previste per i prossimi giorni”, l’apertura di conti in euro e in rubli presso l’istituto russo. In contemporanea è arrivata però la prima precisazione di Bruxelles: la zona grigia non c’è, “l’apertura di un conto in rubli va oltre le indicazioni che abbiamo dato agli Stati membri”, in base alle quali le società, una volta versata la somma in euro o in dollari, dovrebbero fare una “chiara dichiarazione” in base alla quale gli obblighi contrattuali sono stati rispettati. Non solo: Mamer ha aggiunto che “è il Paese membro che deve far rispettare le sanzioni, dunque è il Paese che deve vigilare che le società rispettino le sanzioni“. Ergo il fatto che il gruppo italiano del petrolio e del gas abbia preso la decisione in modo “condiviso con le istituzioni italiane” è un’aggravante per Roma.
Mercoledì dal vice presidente della Commissione Timmermans, è arrivato un nuovo altolà: “Pagare in rubli significa violare le sanzioni. Ed è una violazione anche dei contratti stipulati che prevedono in quale valuta pagare”. L’ex premier Gentiloni, rispondendo a una domanda proprio su Eni, era parso smentirlo ma in realtà aveva aggirato la questione: “Se mi chiede “se pagano in rubli è un’infrazione?” è una risposta diversa”, è il suo virgolettato riportato dall’Ansa, “ma non è quello che stanno facendo le imprese europee e credo che il metodo di pagamento sia almeno simile se non identico quando parliamo di società che si occupano di energia”.
La verità è che la situazione rimane assai poco chiara: se il conto in rubli è di per sé una violazione, Eni e tutte le altre società stanno contraddicendo la linea di Bruxelles. Ma il gruppo aveva spiegato di aver avuto assicurazione da parte delle autorità russe che “la fatturazione (effettivamente giunta ad Eni nei giorni scorsi nella valuta contrattualmente corretta) e il relativo versamento da parte di Eni continueranno a essere eseguiti in euro, così come contrattualmente previsto” e “le attività operative di conversione della valuta da euro a rubli saranno svolte da un apposito clearing agent operativo presso la Borsa di Mosca entro 48 ore dall’accredito e senza coinvolgimento della Banca Centrale Russa“. Tutto a posto dunque? Non sembra, a sentire Mamer: la sola esistenza di un conto in rubli a nome dell’importatore europeo travalica i paletti di quanto consentito dalle linee guida Ue.
Nel frattempo, sul fronte delle misure per cercare di mettere in sicurezza la Ue dal punto di vista delle riserve energetiche, è stato raggiunto l’accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio Ue sulle nuove regole che obbligheranno i governi a riempire i loro depositi di gas prima di questo inverno e nel prossimo anno. “Abbiamo un rapido accordo politico sulla nostra proposta di stoccaggio del gas, fondamentale per garantire la preparazione per il prossimo inverno. L’Ue è in grado di agire veloce ed unita”, ha dichiarato la commissaria per l’Energia Kadri Simson. “Ci saranno depositi di gas pieni per l’inverno, invece delle carenze di gas”, ha affermato l’eurodeputato Jerzy Buzek, che ha condotto i negoziati per il Parlamento europeo. I colegislatori hanno convenuto che lo stoccaggio sotterraneo di gas nel territorio degli Stati membri dovrebbe essere riempito almeno all’80% della capacità prima dell’inverno 2022/2023 e al 90% prima dei periodi invernali successivi.
L’Unione tenterà collettivamente di riempire l’85% della capacità di stoccaggio sotterraneo del gas nel 2022, si legge in una nota del Consiglio Ue. Poiché non tutti gli Stati membri dispongono di strutture di stoccaggio sul proprio territorio, quelli che ne sono privi avrebbero accesso alle riserve di stoccaggio del gas in altri Stati membri. E’ stata concessa una deroga a Cipro, Malta e Irlanda, non direttamente interconnesse con il sistema del gas di altri Stati membri. Il Consiglio e il Parlamento devono ora adottare formalmente l’accordo politico provvisorio. In seno al Consiglio, l’accordo politico provvisorio sarà prima sottoposto all’approvazione del Comitato dei Rappresentanti Permanenti. L’accordo sarà poi adottato in prima lettura dal Parlamento europeo e poi dal Consiglio.