L’ansia del presidente del Consiglio Mario Draghi per le riforme necessarie per il Piano di recupero – paralizzate dalle liti della maggioranza – lo spinge a un intervento irrituale nel rapporto tra poteri: scrivere alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati perché il disegno di legge sulla concorrenza (che contiene anche i provvedimenti sulle concessioni balneari) venga “varato” entro la fine del mese. Un intervento che segue quello di ieri, quando il pressing del capo dell’esecutivo si era rivolto ai suoi ministri e ai partiti della sua maggioranza. Tradotto: alla Lega e a Forza Italia che sono le due forze politiche che stanno bloccando il provvedimento sulla concorrenza, che Bruxelles attende entro la fine dell’anno. Manca ancora un tempo significativo, ma nei desideri di Palazzo Chigi c’era presentare la legge per la concorrenza per il 2023 (il provvedimento si rinnova ogni anno) già questa estate. In più ogni legge si porta dietro una scia di decreti attuativi, sui quali c’è un lavoro supplementare da fare da parte degli uffici ministeriali.

E questo provvedimento in discussione, dopo 6 mesi, deve ancora completare il suo iter al Senato (dove è ancora ferma in commissione) e poi fare il percorso completo di nuovo alla Camera. Da qui la fretta di Draghi che però – dal punto di vista della grammatica istituzionale – ha scelto una strada non consueta: saltare il ministro per i Rapporti con il Parlamento, snobbare i (numerosi) capigruppo della sua (amplissima) maggioranza, bypassare tutti i passaggi intermedi dei regolamenti delle Camere, e rivolgersi direttamente alla presidente del Senato per dirle che quel testo deve avere una “rapida approvazione entro fine maggio”. Per quanto siano cariche di significato le motivazioni, il risultato anomalo è che il capo del governo indica a una delle Camere cosa deve fare il Parlamento, in un’applicazione un po’ inconsueta del rapporto tra poteri dello Stato. Casellati, secondo quanto apprendono le agenzie di stampa, ha girato la lettera alla commissione Industria – dove il ddl Concorrenza giace esanime – e a tutti i capigruppo, che discuteranno della richiesta di accelerazione dell’iter nella conferenza di martedì, alle 15.

Nella sua lettera Draghi ripercorre le date che hanno portato fin qui: a dicembre 2021 l’incardinamento in commissione, il 25 febbraio l’arrivo dell’emendamento governativo che ha integrato il ddl, alla metà di marzo gli emendamenti presentati dai gruppi parlamentari. “Ad oggi – sottolinea il capo del governo – malgrado numerose riunioni si siano svolte con le forze parlamentari, le operazioni di voto non risultano effettivamente iniziate”. Così, conclude il presidente del Consiglio, “il Governo, nel rispetto delle prerogative parlamentari, deve pertanto rappresentare che, senza una sollecita definizione dei lavori del Senato con l’iscrizione in Aula del provvedimento ed una sua rapida approvazione entro fine maggio sarebbe insostenibilmente messo a rischio il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr“. Il problema, più che evidente, è che la responsabilità del ritardo e delle mancate votazioni non stanno nel funzionamento del Senato, ma nell’operato dei partiti di maggioranza, segnatamente quelli della sua ala destra che in pratica ha bloccato i lavori, minacciando di votare contro. Ma, evidentemente, nonostante il consiglio dei ministri convocato d’urgenza ieri (e durato 8 minuti) per dire ai partiti per interposti ministri di fare presto, il presidente del Consiglio si fida poco della reazione delle forze politiche. E si è appellato ai più alti incarichi istituzionali.

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