Cinema

Gagarine, arriva in sala un film “astronave” tra Loach e Tarkovskji

Fanny Liatard e Jeremy Trouilh hanno sviluppato un’idea più articolata e fantasiosa per un lungometraggio modello coming of age che sembra uscito da un incontro creativo tra il regista inglese e quello russo

di Davide Turrini

Un’astronave cinematografica è atterrata nelle sale italiane. S’intitola Gagarine e si rifà proprio all’astronauta russo Yuri Gagarin, primo uomo a viaggiare nello spazio nel 1961, qui declinato in Cité Gagarine, complesso residenziale dagli alti palazzoni sorto alla periferia sud di Parigi nel 1963 dal volere dell’allora influente e glorioso Partito Comunista Francese. Un progetto edilizio popolare da centinaia e centinaia di abitazioni che spinse lo stesso Gagarin ad inaugurarlo tra ali di folla multicolore proprio nel 1963 (nel film si vede appena dopo i titoli di testa).

Solo che nella realtà la Citè Gagarine è stata demolita nel 2019 in diretta mondiale per far posto al solito eco quartiere alla milanese, provocando un enorme e non proprio apprezzato (nonostante lo scambio con nuovi e più ampi appartamenti) “esodo” popolare. Dopo aver girato un corto documentario nel 2015, per conto di un gruppo di architetti pronti a demolire e riprogettare quello spazio cittadino, con decine di interviste ad ex inquilini della Cité Gagarine, Fanny Liatard e Jeremy Trouilh hanno sviluppato un’idea più articolata e fantasiosa per un lungometraggio modello coming of age che sembra uscito da un incontro creativo tra Loach e Tarkovskji.

Il sedicenne di origine africane Youri (Alseni Bathily) vive alla Citè Gagarine da quando è nato non vuole abbandonare per nulla al mondo la sua abitazione. Con un amico che abita anch’esso negli stessi palazzoni e con l’aiuto di una ragazza rom (Lyna Khoudri, rivelazione in Papicha e alla quale puoi far interpretare ogni ruolo del mondo e sarà sempre splendida) provano a sistemare luci, neon, infissi, scale e persiane in modo che i palazzi risultino ancora agibili durante le ispezioni comunali. Ma la triste storia della fine di Citè Gagarine spinge inesorabile verso la distruzione che avverrà. Ed è qui che trovato un equilibrio tra un minimo tocco marcelliano (inteso alla Pietro Marcello) con il found footage (anche del proprio doc) che si mescola alla recitazione nel presente, Liatard e Trouilh disegnano una sorta di tunnel spaziotemporale, invisibile ai più, dove l’appassionato astronomo e astronautico Youri (stesso nome di battesimo di Gagarin), vista sfuggire la sorte dei palazzoni della Cité oramai svuotati, si costruisce una specie di capsula spaziale nei meandri in demolizione tra nylon, piccole serre in vitro dove coltiva verdure e un angolino camera e cucina modello 2001 Odissea nello spazio. Il tocco scenografico in Gagarine – il film – è dirompente e immersivo.

La temperatura emotiva della dimensione da favola urbana (c’è anche un ragazzotto bianco mezzo delinquente che non vuole andarsene e resiste in quel non spazio assieme agli altri) cela un cuore politico collettivista e anticapitalista di tutto rispetto. Infine, Liatard e Trouilh in mezzo alla realtà edilizia e umana della periferia multietnica invece di scorciatoie retoriche adottano una scelta di regia straniante e fascinosa da realismo magico dove il set/cunicolo di Youri è anche angolo di ricerca formale e cromatica di un cinema trasformato e trasformabile oltre il 900. Tanti i riferimenti ai viaggi nello spazio come sogno e fuga. Onesto lo sguardo affratellato con la comunità che si disgrega. Denis Lavant, in un rapido cameo da trafficone microcriminale, fornisce poi un tocco cinefilo e naif da dropout senza casa. Insomma, una vera sorpresa negli scampoli di fine stagione.

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