Il 21 maggio, giorno stabilito dalla autorità iraniane come data ultima per l’esecuzione di Ahmadreza Djalali, è arrivato. La comunità internazionale è con il fiato sospeso, ma resta la speranza di un dietrofront dell’ultimo minuto. La storia di Ahmadreza Djalali è nota: ricercatore con doppia cittadinanza irano-svedese, esperto di medicina dei disastri e assistenza umanitaria, un tempo presso l’Università del Piemonte Orientale di Novara, venne arrestato dai servizi segreti mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz. Dopo l’arresto fu tenuto in isolamento per mesi. Djalali è stato accusato di aver fornito informazioni a Israele per assassinare diversi scienziati nucleari di alto livello. Secondo uno dei suoi avvocati, il tribunale non ha fornito alcuna prova per giustificare tali accuse. Ma nel 2020 Djalali è stato condannato a morte in via definitiva da un tribunale iraniano con l’accusa di “spionaggio”. Fino ad oggi la sua esecuzione è stata più volte rinviata. Poi, all’inizio del mese le autorità iraniane hanno dichiarato che entro il 21 maggio sarebbe stato ‘giustiziato’.

In queste ultime settimane sono circolate molte voci su un possibile scambio di prigionieri. In effetti, la dichiarazione della condanna a morte di Djalali è arrivata dopo che un tribunale in Svezia ha chiesto l’ergastolo per Hamid Nouri, cittadino iraniano ed ex funzionario della magistrature iraniana, coinvolto nell’esecuzione di massa e nella tortura di detenuti politici in un prigione iraniana alla fine degli anni 80. La sentenza definitiva è prevista per metà luglio. A questo caso si aggiunge quello di Asadollah Asadi, ex diplomatico iraniano che sta scontando una condanna a 20 anni in Belgio in relazione a un attentato poi sventato in Francia.

Nonostante il portavoce della magistratura, Zabihollah Khodaian, abbia affermato il 10 maggio che la condanna a morte di Ahmadreza Djalali sarà eseguita e abbia escluso un possibile scambio di prigionieri, è possibile che persino per l’Iran Djalali sia più necessario da vivo che non da morto. L’associazione Iran Human Rights ha accusato i funzionari iraniani di aver minacciato di giustiziare Djalali solo “per rappresaglia”. Un fatto che, se confermato, costituirebbe una violazione della Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi.

Le Nazioni Unite in questi giorni hanno affermato di essere “profondamente allarmate” per l’imminente esecuzione e ne hanno chiesto l’immediata sospensione. Liz Throssell, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha dichiarato il 17 maggio che le autorità di Teheran dovrebbero revocare immediatamente la condanna a morte di Djallali. “L’uso della pena di morte per reati di spionaggio è incompatibile con il diritto internazionale dei diritti umani. I paesi che non hanno ancora abolito la pena di morte possono comminarla solo per i ‘reati più gravi’ che vengono interpretati come reati di estrema gravità che comportano uccisioni intenzionali”, ha detto Throssell nella dichiarazione.

Djalali di fatto è un ostaggio nelle mani della Repubblica Islamica dell’Iran. Una merce preziosa di scambio da tirare fuori al momento opportuno. Se non verrà utilizzato come scambio di prigionieri potrebbe giocare un ruolo chiave come pedina all’interno dei negoziati sul nucleare. I colloqui per rilanciare l’accordo del 2015 tra l’Iran e le potenze mondiali sono in sospeso da marzo, soprattutto a causa dell’insistenza di Teheran perché Washington rimuova il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (Pasdaran) dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Proprio qualche giorno fa il coordinatore dell’Unione Europea per i colloqui sul nucleare con l’Iran, Enrique Mora, ha tenuto due giorni di discussioni con il capo negoziatore della Repubblica islamica Ali Bagheri a Teheran. Un incontro positivo che ha portato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Saeed Khatibzadeh, a dichiarare: “Se gli Stati Uniti daranno la loro risposta ad alcune delle soluzioni che sono state proposte, possiamo essere nella posizione che tutte le parti tornino a Vienna”, dove si tengono i colloqui.

Ma come potrebbe essere possibile un ripristino dei colloqui in Europa e un accordo definitivo qualora l’Iran decidesse di impiccare un cittadino con doppia cittadinanza come Djalali? Le autorità iraniane di sicuro si sono poste la stessa domanda, tanto che lo stesso portavoce degli Esteri iraniano, sollecitato in una conferenza stampa in Belgio sulla vicenda Djalali, ha dichiarato: “Valutiamo da parte degli avvocati la richiesta di rinvio dell’esecuzione”. Ma anche l’Italia ha avuto il suo ruolo nella richiesta del rilascio del ricercatore. Molti sit-in sono stati organizzati in varie città d’Italia, a Roma davanti all’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran. Si è svolto anche un incontro presso la Commissione Diritti Umani del Senato alla presenza del Presidente Giorgio Fede, organizzato dall’Associazione Articolo21 con il supporto di Amnesty International al quale si è chiesto di intervenire immediatamente per sospendere la condanna a morte del ricercatore, il rilascio e il suo rientro in Svezia.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Germania, l’ex cancelliere Schröder lascia il colosso russo Rosneft per evitare le sanzioni. Intanto studia come riavere i suoi privilegi

next
Articolo Successivo

Guerra in Ucraina, mandato di arresto per l’ex presidente filorusso Viktor Yanukovich

next