Due giorni fa è scaduto il periodo di grazia di 30 giorni per il pagamento di cedole, per un ammontare complessivo di 78 milioni di dollari, di due bond in valuta estera con scadenze 2023 e 2028. Il paese ha "bucato" anche il pagamento di 105 milioni di dollari dovuti alla Cina. La crisi deflagrata a causa del Covid e del crollo del turismo affonda le sue radici nelle scelte poco oculate dell'ultimo decennio favorite anche dalla Cina
Lo Sri Lanka è in default per la prima volta nella sua storia. La notizia era in un certo senso annunciata vista la gravissima crisi politico economica che sta attraversando il paese e alcuni dichiarazioni del governo, poi caduto, secondo cui sarebbero stati privilegiati i pagamenti per assicurare il sostegno alla popolazione rispetto a interessi e rimborsi ai creditori. Due giorni fa è scaduto il periodo di grazia di 30 giorni per il pagamento di cedole, per un ammontare complessivo di 78 milioni di dollari, di due bond in valuta estera con scadenze 2023 e 2028. Il paese ha “bucato” anche il pagamento di 105 milioni di dollari dovuti alla Cina. Nel complesso il debito estero del paese ammonta a 12,6 miliardi di dollari (11,7 miliardi di euro). Lo Sri Lanka è alle prese con un’inflazione che è prevista in aumento fino al 40% dalla banca centrale e una moneta, la rupia singalese, in caduta libera. Lo scorso marzo per comprare un dollaro servivano 202 rupie, oggi 360. Il tutto mentre il mondo è alle prese con un forte rincaro delle materie prime agricole e dei beni energetici di cui il paese è forte importatore. Situazione che proietta l’ombra della carestia alimentare su un paese di 22 milioni di abitanti.
A Colombo, la capitale, si sono susseguite le proteste inducendo il governo ad imporre il coprifuoco. Ieri la polizia ha usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per respingere centinaia di manifestanti studenteschi che chiedevano la cacciata del presidente e del primo ministro. Attualmente il paese è guidato da Ranil Wickremesinghe che viene però accusato di essere troppo vicino al presidente Gotabaya Rajapaksa e al fratello Mahinda, che si è dimesso da primo ministro la scorsa settimana. In città si segnalano lunghe code ai distributori e ai rivenditori di bombole di gas, il cui prezzo è raddoppiato in pochi giorni e di cui si stima una carenza di 3,5 milioni di unità. Il tutto mentre davanti ai porti srilankesi sono ormeggiate petroliere che attendono i pagamenti per scaricare i carburanti. A scarseggiare sono anche medicinali e altri beni di prima necessità. Un portavoce del Fondo monetario internazionale ha affermato che gli sviluppi della situazione vengono seguiti con attenzione e che una missione virtuale in Sri Lanka avrebbe dovuto concludere i colloqui tecnici su un possibile programma di prestiti il 24 maggio. Tuttavia i rimpasti di governo hanno dilatato i tempi delle trattative di un piano di salvataggio tra i 3 e i 4 miliardi di dollari con un’inevitabile ristrutturazione del debito che, si stima, potrebbe richiedere circa 6 mesi. Attualmente i titoli del paese vengono scambiati sui mercati a circa il 40% del loro valore nominale.
La crisi del paese è stata innescata dal crollo delle presenze turistiche dovuto al Covid e alla guerra in Ucraina con conseguenti sanzioni. Il 17% dei turisti del paese proveniva abitualmente dalla Russia. Ma la crisi affonda le radici nelle spese degli anni precedenti e dalle scelte dell’ultimo triennio. I primi atti del governo di Rajapaksa , in carica dal novembre 2019, sono stati l’uscita da un programma di assistenza finanziaria in essere con il Fondo monetario internazionale e un energico taglio delle tasse che ha ridotto del 25% il gettito fiscale. Il debito del paese era appena al 7% del Prodotto interno lordo nel 2006, è salito al 55% nel 2019 e poi all’odierno 120%. Grandi progetti infrastrutturali, porti e aeroporti che sinora non hanno garantito i ritorni sperati, finanziati con denaro preso a prestito sui mercati internazionali che poi, con la stessa rapidità con cui arriva se ne va. Una dinamica classica che in passato ha stritolato diversi paesi emergenti. Il 38% dei debiti del paese sono in valuta estera, un altro 10% è con la Cina. Pechino in particolare ha finanziato e promosso molte delle grandi opere infrastrutturali accollando al paese debiti che si stanno rivelando insostenibili. Campanello d’allarme per molti paesi che hanno aperto le porte a capitali cinesi. Per far fronte all’emergenza pandemica il governo si è messo a stampare moneta provocandone la svalutazione e quindi l’inflazione perché tutto ciò che viene comprato dall’estero finisce per costare di più.