Forse la cosa più bella non è neppure il gol, ma la carezza tra interno e tacco al pallone che mette a tu per tu col portiere Raducioiu, che ovviamente sbaglia. Ma il gol arriva lo stesso, poi: apertura di sinistro per il cross di Rossi, colpo di testa a raccoglierlo nell’aria e partita chiusa, col Brescia che batte la Lazio agganciando Udinese e Fiorentina al quartultimo posto, a vedere la salvezza. Ma ancora più bello, rispetto al gol e al potenziale assist è che a maggio 1993 in Italia, con la numero 10 del Brescia giochi uno dei maggiori fuoriclasse del pianeta: Gheorghe “Gica” Hagi. E non un fenomeno in potenza, una promessa su cui un presidente lungimirante di una provinciale ha puntato annusandone il futuro, no, un fuoriclasse vero, affermato… preso dal Real Madrid.

Un colpo arrivato dopo quattro anni di innamoramento totale. D’altronde Hagi i presidenti li ha fatti innamorare sempre, creando pure qualche casino. Un sinistro che è una poesia, carattere ribelle ed estro da vendere: già da ragazzino si capisce che non è un giocatore normale. Lo capiscono i Ceausescu: sia Valentin che Nicu, col secondo che la spunta e dal Farul Costanza lo porta allo Sportul Studentesc. Ma la Steaua Bucarest è la Steaua, peraltro Hagi è pure un grande tifoso di quella squadra. L’accordo sarebbe di farcelo giocare una sola partita in prestito: la Supercoppa Europea del 1986 contro la Dinamo Kiev. Sì, quell’unica partita che finisce 1-0 con gol di Hagi. Come si fa a quel punto a dire ai tifosi in festa che quel numero 10 dal sinistro fatato tutto tacchi e dribbling non giocherà più per la Steaua? Non glielo si dice infatti, Gheorghe continua nella Stella vincendo tre campionati e tre coppe di Romania, segnando con medie da bomber puro, 89 gol in 121 partite.

Non piace solo ai Ceausescu, Gica, no: piace a tutti, per la verità, ma un presidente in particolare è letteralmente pazzo di lui. Si chiama Gino Corioni e sarebbe disposto praticamente a tutto pur di portare Hagi nella sua squadra, allora il Bologna. In alcuni casi è convinto di avercela fatta perché i “ma certo presidente, il giocatore è suo” dei dirigenti della Steaua si sprecano: in maniera vana. Il regime cade alla vigilia dei Mondiali del 1990, dove Hagi gioca divinamente e a quel punto per Corioni c’è, tra gli altri, un concorrente imbattibile, il Real Madrid. Chiaro che quel sinistro faccia stropicciare gli occhi anche ai tifosi delle merengues, tipo quando Gica decide di usarlo per un pallonetto millimetrico da cinquanta metri, ma pur giocando bene il feeling non è dei migliori: in quegli anni, nell’eterno dualismo pallonaro iberico, la bilancia pende verso est, dove peraltro c’è in panchina il mito assoluto di Hagi, Johan Crujff.

Dopo due stagioni il Real decide di privarsi del fuoriclasse rumeno, ed ecco che ritorna l’eterno innamorato Gino Corioni: non più da presidente del Bologna ma del Brescia, che intanto è tornato in serie A con Lucescu in panchina. Stavolta il colpo riesce: poco più di 5 miliardi e Corioni porta a casa l’oggetto dei suoi desideri, mettendogli accanto altri tre connazionali, Florin Raducioiu, Ioan Sabau e Dorinel Mateut. Gica comincia male: espulso contro il Napoli per un fallo dei suoi, di reazione. Ma poi mostra di che pasta è fatto tra siluri e tocchi di classe di sinistro e confezionando assist al bacio per Saurini e Raducioiu. Ma il Brescia retrocede: Hagi incredibilmente, nonostante numerose offerte decide di seguirlo in B, “perché non sono un codardo”, dirà. E quella che oggi sembra fantascienza con un campione di quella portata, soprannominato “Re” in patria, che non solo decide amabilmente di passare dal Real a una squadra di provincia ma anche di scendere in B, assume contorni ulteriormente incredibili a pensare che in quel campionato cadetto giocavano anche Gabriel Batistuta, Oliver Bierhoff, Enrico Chiesa, Pippo Inzaghi, Christian Vieri e Stefan Effenberg.

Naturalmente il Brescia, grazie ai 9 gol e agli innumerevoli assist di Hagi torna subito in A e vince anche la Coppa Anglo Italiana. Ma davanti a Gica Hagi c’è un altro mondiale, quello americano. Capitano della sua Romania a Pasadena fa stropicciare gli occhi a tutto il mondo: contro la Colombia, all’esordio nella manifestazione, segna con un sinistro da 40 metri e segna anche contro la Svizzera nella gara successiva che però la Romania perde, e male. Agli ottavi di finale c’è l’Argentina: in una gara orfana del sinistro di Maradona, appiedato per doping, brilla tantissimo quello di Hagi. L’azione con cui confeziona l’assist per il secondo gol di Dumitrescu è un saggio di diverse arti, dalla letteratura alla geometria. Il gol decisivo è storia: i rumeni impazziscono, tutti ai piedi di Hagi. Ai quarti contro la Svezia bombarda Ravelli dal primo all’ultimo minuto. Da un suo sinistro su punizione arriva il gol del pareggio di Raducioiu, che manda la gara ai supplementari. Poi Gica segna il suo rigore, ma Belodedici no e il cammino della Romania si ferma lì.

In Italia viene ritenuto ormai vecchio, perciò Hagi accetta quando arriva la chiamata del Barcellona allenata dal suo idolo Crujff: non andrà granché bene, il passato da ex madridista pesa e nonostante gol incredibili non sboccerà l’amore. Dopo due stagioni Hagi, ritenuto ormai finito, va al Galatasaray. Non solo delizierà il pubblico turco, ma vincerà quattro titoli di seguito e porterà la squadra a vincere l’Europa League, primo trofeo internazionale portato in Turchia e poi la Supercoppa Europea contro il Real Madrid, in una gara in cui lui, ormai 36enne, si beve puntualmente tra tacchi e dribbling Roberto Carlos. Chiude la carriera quell’anno ed inizia ad allenare: dopo Galatasaray e Steaua diventa proprietario del Vitoriul Costanza, poi decide una fusione ed oggi è tecnico della squadra con cui aveva iniziato a giocare a calcio, il Farul Costanza, di cui è anche proprietario assieme ad altri ex calciatori come Ciprian Marica e l’altro Gica, Popescu. Intelligente, carismatico, leader e con uno dei più bei sinistri mai visti, e pronto a passare dal Real al Brescia, persino a restare in B. Jorge Valdano disse di lui: “Non mi avrebbe meravigliato vederlo giocare su un cavallo bianco”. Eh sì, in effetti sembra una favola.

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