“Nessun allarme. Il cosiddetto ‘vaiolo delle scimmie’ non è una nuova malattia e, ripeto, non deve destare allarme, ma grande attenzione”. A dirlo è Francesco Vaia, direttore generale dell’Istituto Spallanzani (INMI) dopo il primo caso rilevato nel nostro Paese. Nel corso di una conferenza stampa organizzata per aggiornare sulla situazione, Vaia ha spiegato: “Le tre persone ricoverate attualmente presso il nostro ospedale con infezione confermata da virus Monkeypox sono tre giovani uomini che non riferiscono contatti tra loro, anche se due riportano un viaggio alle Canarie, dove recentemente è stato segnalato un caso di questa malattia. Mentre il terzo ha riferito un viaggio a Vienna. Tutti e tre sono in discrete condizioni di salute, hanno un ingrossamento di alcune ghiandole linfatiche, che appaiono dolenti, e la comparsa di un numero limitato di piccole pustole cutanee localizzate. Una sola ha presentato una febbre di breve durata”.
Per quanto riguarda la terapia, è stato precisato come i pazienti siano “trattati con una terapia sintomatica che allo stato è sufficiente”, seppur spiegando come presso l’Istituto Spallanzani siano disponibili dei “farmaci antivirali che potrebbero essere impiegati in via sperimentale qualora si rendesse necessaria una terapia specifica”. Allo stato attuale, però, non c’è stato alcun bisogno.
Per la prossima settimana, inoltre, Vaia ha spiegato come il laboratorio di virologia dello Spallanzani preveda “di isolare il virus e questo renderà possibile eseguire una serie di indagini sperimentali. In particolare si potrà studiare se nel sangue di persone che sono state vaccinate contro il vaiolo, persone che oggi hanno più di 50 anni, sono presenti anticorpi che neutralizzano questo virus e cellule immunitarie in grado di attaccarlo”. Ma non solo. L’isolamento virale “permetterà anche di eseguire test per la diagnosi sierologica di questa infezione”.
Anche Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali, ha sottolineato come al momento “siamo in una situazione di assoluta tranquillità”: “Ci sono pochissimi casi in tutto il mondo. E tutti i casi che ci sono stati in letteratura si sono autolimitati, non ci sono state grandi epidemie”.
“Questa è una malattia conosciuta dal 1970, non è nuova, anche se questi nuovi focolai si presentano in maniera atipica rispetto al passato. La trasmissione può avvenire da alcuni animali, come roditori, all’uomo. Quella interumana, di recente dimostrata e caratteristica di questi focolai registrati in Europa, è legata a goccioline di saliva e contatto cutaneo stretto, soprattutto con lesioni pustolose che contengono il virus”, ha aggiunto il direttore sanitario Andrea Antinori.
Per poi precisare: “I rapporti sessuali possono essere considerati contatti stretti, ma non sono gli unici possibili. Eviterei di identificarla, come una malattia a trasmissione sessuale al momento” anche perché “la presenza del virus, ad esempio, nello sperma o nei secreti genitali è ancora in fase di studio”. Quindi, ha continuato, “va evitata l’identificazione del gruppo di persone di uomini che fanno sesso con uomini come portatori di questa malattia, perché questo potrebbe essere stigmatizzante nei confronti di questa popolazione”, replicando a quanto dichiarato da Matteo Bassetti. Era stato il direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova a rivendicare, in merito al ‘vaiolo delle scimmie’, come “la maggioranza dei casi ad oggi riportati sono avvenuti all’interno di comunità chiuse, di cluster, fatte soprattutto da omosessuali che hanno avuto rapporti con altri uomini”. Parole alle quali ha replicato in conferenza stampa pure lo stesso Vaia: “Attenzione allo stigma”.