La politica del “solo elettrico” metterebbe alle corde l’industria dell’auto, farebbe aumentare la dipendenza dell’occidente dalla Cina e produrrebbe, paradossalmente, delle gravi conseguenze ambientali. Concetti che richiamano da vicino quelli espressi, a più riprese, da una parte del Governo italiano e da capitani di industria come Akio Toyoda (Toyota) e Carlos Tavares (Stellantis).
Permettere la vendita dei soli veicoli 100% elettrici dal 2035 avrebbe effetti negativi sull’industria dell’auto e perfino sul tasso di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. È l’opinione della Plateforme Automobile (Pfa), l’associazione francese che raggruppa colossi come Stellantis, Renault e CCFA, nonché multinazionali della componentistica del calibro di Michelin, Faurecia, Plastic Omnium, Valeo, Fiev e le federazioni Ffc, Fim, Gpa e Sncp, per un totale di circa 4.000 imprese del settore automotive.
Secondo Pfa, scegliere (politicamente) l’auto a batteria come unica possibilità per la mobilità del futuro, chiudendo la porta alle soluzioni tecnologiche alternative, rischia di essere un clamoroso autogol. Marc Mortureux, Ceo della Plateforme Automobile, si domande se i legislatori “abbiano misurato adeguatamente tutte le conseguenze” delle loro decisioni. “Mettiamo fortemente in discussione il realismo di una tale traiettoria” politica, dice Mortureux. Parole che suonano estremamente simili a quelle espresse da Akio Toyoda a fine 2020.
Prendendo pure in considerazioni i problemi che il settore si trova ad affrontare, come la carenza di materie prime per la produzione di batterie, la mancanza di un’adeguata infrastruttura di ricarica, la produzione di elettricità non pulita (con emissioni di CO2), l’inflazione e l’elevato prezzo delle auto elettriche, il Ceo della Plateforme Automobile afferma di non essere sicuro che le conseguenze di un approccio all electric “siano state valutate pienamente e che le stesse siano accettabili”. Molte aziende del settore, poi, sono “in grande difficoltà con la prospettiva di pesanti perdite di posti di lavoro”, che non saranno necessariamente sostituite da nuove assunzioni.
Per Mortureux, invece, sarebbe necessario venisse data priorità alla “riduzione delle emissioni di CO2 e soprattutto al rinnovo della flotta” con veicoli termici e ibridi a bassissimo impatto ambientale. Anche perché il “rischio perverso” che si corre mettendo tutte le uova nel cesto dell’auto a batteria è che l’aumento del prezzo medio delle automobili, conseguenza diretta di un’offerta di mercato solo elettrica – una vettura a elettroni costa mediamente quasi il doppio di un’equivalente termica – rallenti il rinnovo dell’attuale parco circolante che, per via della sua anzianità in Francia come in tutta Europa, è una delle ragioni più importanti dell’impatto del traffico automobilistico sull’ambiente.
Pertanto, Pfa chiede l’implementazione di un’analisi delle emissioni generate nel corso dell’intero ciclo di vita dei veicoli al fine di calcolare meglio la loro impronta di carbonio, invece di tenere conto solo delle emissioni allo scarico, che avvantaggiano le elettriche perché non tengono conto né delle maggiori emissioni generate in fase produttiva rispetto alle auto termiche, né di quelle generate per la produzione dell’elettricità da fonti fossili. Ciò, oltretutto, consentirebbe di lasciare aperta la porta a soluzioni tecniche alternative al 100% elettrico, garantendo un approccio tecnologico neutro ed olistico al tema della decarbonizzazione della mobilità e consentendo di mantenere accessibili i prezzi delle auto nuove.
Concetti che ricordano da vicino le posizioni di buona parte del Governo italiano, sintetizzabili nelle ultime dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti: “Io rivendico con orgoglio di non aver voluto firmare il Cop26, che stabiliva l’ineluttabilità dell’elettrico come destino per quanto riguarda l’automotive”. La totale elettrificazione “significherebbe consegnare a un grande Paese, di cui non faccio il nome, la nostra sovranità in materia di automotive nel giro di vent’anni, come abbiamo fatto per il gas con la Russia”. Quel grande Paese a cui fa riferimento il ministro è la Cina, che attualmente controlla la maggior parte delle materie prime necessarie alla produzione di batterie. Un allarme simile a quello recentemente lanciato da Carlos Tavares, ad di Stellantis: “Nel giro di pochi anni non ci saranno in giro sufficienti batterie e ci dovremo legare mani e piedi ai cinesi. Verso il 2025 o 2026 scarseggeranno le batterie o, in alternativa, ci sarà una dipendenza significativa del mondo occidentale dall’Asia”.
“Difendiamo il principio di neutralità tecnologica a favore dei biocarburanti e dell’idrogeno”, sostiene Giorgetti: “È necessario poi garantire un sistema infrastrutturale. Lo Stato deve dare la possibilità di fare rifornimento. Credo che la tecnologia vada molto più veloce della politica e non capisco perché la politica debba dire che il destino sia semplicemente quello dell’elettrico. Sono convinto che l’idrogeno farà dei progressi significativi e sarà competitivo”. Anche in questo caso, c’è un certo allineamento con le opinioni di Tavares: “Tutti riverseranno veicoli elettrici sul mercato, ma dov’è l’infrastruttura di ricarica? Senza parlare dei rischi geopolitici di approvvigionamento delle materie prime necessarie”…