“Quando abbiamo detto che la plastica compostabile non era riciclabile, ci hanno minacciato dicendo che ci avrebbero fatto causa se continuavamo a raccontare questa verità”. Alcuni degli imprenditori sentiti dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, da settembre a dicembre 2021, preferiscono restare anonimi, ma tutti gli impianti contattati, di compostaggio, di digestione anaerobica e quelli dove le due fasi sono integrate, hanno confermato le difficoltà nella gestione dei rifiuti usa e getta in plastica compostabile. “Abbiamo comunicato che il rifiuto stava peggiorando e che gli impianti non sono idonei” svelano alcuni imprenditori. Il risultato? “Pressioni dal mondo della plastica compostabile. Così ora stiamo zitti: togliamo la plastica compostabile appena arriva all’impianto e la inviamo all’incenerimento, un’operazione che fanno in diversi. Dispiace solo che i cittadini credano di fare una scelta green, quando non è così”. C’è tutto il malcontento per l’imposizione di questo materiale nella scelta dell’anonimato e nelle testimonianze raccolte per l’inchiesta condotta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia e di cui ilfattoquotidiano.it ha pubblicato in anteprima i risultati nell’ambito della campagna ‘Carrelli di plastica’. “I gestori degli impianti sono scontenti, non riescono a gestire questo flusso” conferma Mario Grosso, docente del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano.
Le difficoltà degli impianti – La levata di scudi degli impianti di compostaggio è iniziata nel 2019. In prima linea l’impianto di Montespertoli, in provincia di Firenze, che si dichiara incapace di trattare la plastica compostabile conferita insieme ai rifiuti organici. Ad avvalorare la posizione dell’impianto di Montespertoli, anche l’Alia Servizi Ambientali SpA, società di gestione dei servizi ambientali della Toscana Centrale, che ha diffuso una nota molto chiara. “Nell’attesa di una filiera dedicata – ha chiarito – i manufatti in bioplastica rigida devono essere conferiti nel contenitore dell’indifferenziato. Gli attuali impianti di compostaggio sono nati esclusivamente per i residui organici e gli sfalci di verde provenienti dalla raccolta differenziata. A oggi – prosegue la società – gli shopper in Mater-Bi sono le uniche bioplastiche compatibili con le condizioni dei processi di compostaggio, mentre i manufatti in bioplastica rigida si biodegradano a condizioni e tempistiche di processo diverse e comprometterebbero l’intera produzione di compost”. Neppure all’industria di recupero e riciclo Montello di Bergamo, dove confluiscono 760mila tonnellate di frazione organica all’anno (il 16% dell’umido prodotto in Italia) e che rappresenta una eccellenza italiana, si può degradare completamente la plastica compostabile, semplicemente perché non si può fare alla velocità e con la stessa tecnologia utilizzata per l’umido. “Per poter garantire il riciclo totale dei manufatti biodegradabili e compostabili – spiega la Montello – questi andrebbero raccolti separatamente dal rifiuto organico per essere poi avviati a specifico trattamento e riciclo”.
All’impianto di Lana (Bergamo) – Con il suo team, il professor Mario Grosso ha visitato l’impianto di Lana, nella provincia autonoma di Bolzano, in Trentino-Alto Adige. Si tratta di un impianto con tre digestori anaerobici (da cui si produce energia elettrica) a cui fa seguito una fase di compostaggio per la produzione di compost. “Il nostro è un problema tecnico: per legge dovremmo accettare umido e plastica compostabile, eppure nei nostri impianti le plastiche compostabili non degradano” commenta Marco Palmitano, direttore generale di Eco Center, società dei Comuni dell’Alto Adige e della Provincia Autonoma di Bolzano dove confluisce l’umido di 41 Comuni. L’obiettivo dell’impianto di Lana è ottenere una poltiglia omogenea da mandare al digestore. Per prima cosa è necessaria una fase di vagliatura per eliminare ogni materiale rigido, tra cui la plastica compostabile. Se questo materiale sfugge alla vagliatura “i digestori sono dotati di un sistema di estrazione – continua Palmitano – che toglie i materiali più pesanti (come noci e gusci), ma anche i più leggeri (eventuali sacchetti). In questo modo, ci assicuriamo di eliminare ogni impurità” che potrebbe bloccare o danneggiare l’impianto. Il materiale così ripulito va poi alla disidratazione per diventare “un digestato disidratato che composta molto bene attorno alle 5 settimane (contro le 10 settimane dell’umido)”. Morale: anche se la plastica compostabile arrivasse a questa fase del processo, non avrebbe a disposizione le 12 settimane necessarie alla sua degradazione.
La battaglia di Bolzano – Diversi impianti in tutta Italia da anni segnalano alle autorità la difficoltà nel gestire il flusso crescente di plastica compostabile rigida, ma solo la Provincia autonoma di Bolzano si è mossa di conseguenza. “Nel 2019, rispondendo all’appello di diversi impianti di gestione dell’organico, abbiamo preso posizione, diffondendo una circolare in cui chiedevamo ai cittadini di mettere la plastica compostabile nell’indifferenziato” racconta Giulio Angelucci, responsabile dell’Ufficio gestione rifiuti della Provincia. Che aggiunge: “Noi gestiamo l’umido attraverso la digestione, quindi nel nostro sistema la plastica compostabile è automaticamente inviata a incenerimento o discarica”. Ma a gennaio 2020 Assobioplastiche ha impugnato la circolare obbligando Bolzano a ritirarla a settembre dello stesso anno. “Fino a quando l’impianto ha potuto vietare il conferimento di materiali in plastiche compostabili, la sua produzione di scarti è stata minima” precisa Grosso del Politecnico di Milano. Che spiega: “Ora l’impianto si dovrà adattare tecnologicamente per poterli accettare, dovendo modificare in maniera importante il suo ciclo produttivo e generando probabilmente molti più materiali di scarto”.
Spunta un nuovo articolo nel testo unico ambientale – Coincidenza o frutto della spinta della stessa lobby, sempre a settembre 2020, al Testo Unico ambientale è stato aggiunto un articolo in cui si esplicita che la plastica compostabile deve essere obbligatoriamente messa nell’umido e, quindi, gestita dagli impianti che trattano l’organico. Tuttavia, nello stesso articolo, si dice che gli impianti dovranno adeguarsi secondo le modalità indicate da un decreto ministeriale che deve ancora uscire. “Da un lato si impone di raccogliere la plastica compostabile nell’organico – precisa Angelucci – dall’altro sappiamo che gli impianti non sono idonei e non sono ancora uscite le normative tecniche a cui si dovranno adeguare”. Così la Provincia autonoma ha scelto di aspettare e di non dare nuova comunicazione al cittadino, che nella pratica sta continuando a gettare la plastica compostabile nel sacco dell’indifferenziato, diventando l’unica realtà in Italia a essersi messa contro la normativa.
Se la plastica compostabile rovina la filiera della plastica tradizionale – Ma la plastica compostabile può creare problemi anche quanto finisce nella filiera della plastica tradizionale perché “può influire negativamente su qualità e purezza del prodotto finale” spiega Fead, l’organo di rappresentanza dell’industria privata di gestione dei rifiuti e delle risorse nell’Unione Europea. Non eliminarla dal processo “renderebbe difficile riciclare la plastica tradizionale” precisa all’Unità investigativa di Greenpeace Italia Francesca Sancinelli, direttrice divisione del reparto riciclo della plastica di Montello SpA, azienda leader del nord Italia, che riceve 350mila tonnellate l’anno di imballaggi in plastica da riciclare. Conferma questa problematica Diego Barsotti, responsabile della comunicazione di Revet Spa, azienda che gestisce più dell’80% degli imballaggi della differenziata in Toscana. “Le plastiche compostabili che arrivano negli impianti di selezione degli imballaggi in plastica creano un problema impiantistico notevole – spiega – perché possono essere scambiate per plastica tradizionale dai macchinari e, in questo modo, compromettere il successivo processo di riciclo della plastica”.
La soluzione praticata è quella di “individuare e togliere la plastica compostabile dalla catena. Una volta tolta, la inviamo in discarica o a recupero energetico”. Una criticità in aumento perché sempre maggiore è la percentuale di plastica compostabile che i cittadini gettano nel bidone della plastica. “Fino a che si trattava del 3% di plastica compostabile era tollerabile – continua Revet – ma oggi l’uso di manufatti in plastica compostabile sta aumentando sempre di più e la loro presenza è raddoppiata”. Ma allora come si spiega che l’Italia è tra i pochi Paesi in Europa ad avere inserito una deroga alle limitazioni imposte da Bruxelles nell’ambito della direttiva sulle plastiche monouso, inserendo la deroga per quello fatto in plastica compostabile? “L’Italia si è opposta perché siamo i primi produttori di plastica compostabile in Europa. Peccato che da un lato siamo i campioni europei nella produzione di questo materiale – continua Barsotti di Revet – dall’altro non si è pensato alla creazione di impianti adatti per trattarlo”.