In un orizzonte cupo di covid e guerra, segnato da divisioni, c’è un luogo ideale dove tutti sono d’accordo: è il mondo accademico, quello che figlia concorsi truccati di cui nessuno s’accorge salvo la vittima esclusa. Chi assiste al fattaccio laddove si compie, tace. Più che un sospetto, oggi è una matematica certezza. Ilfattoquotidiano.it anticipa in esclusiva uno studio che dimostra come il 97% delle decisioni assunte nei cda degli atenei sono votate all’unanimità. Un dato clamoroso che si deve alla mobilitazione degli iscritti di Trasparenza e Merito (Trame), l’associazione nata proprio per contrastare le opacità in fatto di assegnazione di cattedre e risorse. Professori e ricercatori si sono presi la briga di richiedere e verificare ben 3547 delibere del 2020 a 15 atenei italiani di diversa dimensione. Per poi scoprire che solo 3 consiglieri su 100 avevano votato in dissenso. E che molte università si sono rifiutate di renderle pubbliche e fornirle ai ricercatori.
Il risultato dell’esperimento è significativo per chi volesse andare alla radice più profonda della malapianta che foglia continui scandali e inchieste della magistratura. Consente di andare oltre il dito puntato contro la casta dei “baroni” e di codificare il sistema di potere in cui si muovono i massimi organi deliberativi degli atenei, sistema del tutto legale e normato dalla legge, ma che consente loro di fare il bello e il cattivo tempo, finché bussa la Finanza. A scarni numeri è appesa la “grande epopea” del mondo alla rovescia, dove al massimo del sapere e della conoscenza non corrisponde il loro esercizio verso il bene collettivo. Un mondo appeso a pochi numeri: dalle delibere d’ateneo si scopre che solo 3 consiglieri su 100 hanno avuto l’ardire di verbalizzare una posizione di dissenso (o di votare contro) la decisione assunta preventivamente dai colleghi. “Galateo accademico”, lo chiamavano i docenti della facoltà di Giurisprudenza di Genova, intercettati dalla Finanza perché nell’assegnare concorsi per il posto da docente o ricercatore andavano all’esatto contrario di quanto previsto dalla legge. E cioè “andavano scelti prima i vincitori e poi fatti i bandi”.
Va ricordato che il cda è l’organismo di maggior potere all’interno della vita e dell’organizzazione accademica: decide l’indirizzo strategico, la programmazione finanziaria annuale e triennale e sul personale, le proposte di reclutamento e chiamata di professori e ricercatori formulate dai dipartimenti, nonché di vigilanza e controllo sulla sostenibilità finanziaria delle attività. Delibera l’attivazione o soppressione di corsi e sedi, strutture per la didattica, la ricerca e i servizi, il regolamento di amministrazione e contabilità, nonché, su proposta del rettore e previo parere del senato accademico, l’approvazione del bilancio, il piano edilizio dell’ateneo assegnando le relative risorse. Last but not least, esercita il potere disciplinare sui docenti e conferisce l’incarico, su proposta del rettore, al direttore generale, decidendo in merito alla revoca e alla risoluzione del rapporto di lavoro. Tutto, insomma, si decide lì. Ecco perché era importante capire “come”. La curiosità, si fa per dire, era capire come si fanno le scelte in quel ristretto consesso di decisori pubblici che in mano ha il destino degli atenei, a partire dai fondi ordinari per arrivare a quelli straordinari che pioveranno dal Pnrr: sceglie con logiche democrati e trasparenti?
Dallo studio pare proprio di noi. Se a Firenze, per dirne una, in un anno si tenute 16 sedute che hanno “licenziato” 611 delibere e 594 sono state approvate da tutti i consiglieri, il 97,22%. E che dire della Sapienza di Roma con 415 delibere su 419 ha il record del 99%? Vale la pena notare che nella casistica raccolta non c’è alcuna differenza tra gli atenei minori che hanno una mole di decisioni inferiori da prendere e quelli grandi o “mega”. L’Università di Udine ha 14mila iscritti ma il suo tasso di “compattezza” dei consiglieri (98,33%) è del tutto analogo a quella di Padova che di iscritti ne conta oltre 60mila, a riprova che ogni decisione presa, su tutto il complesso di attività gestite dal cda, viene sottoscritta senza alcuna voce critica. Un mondo dove non ci sono distinguo, critiche, contrapposizioni. Il migliore dei mondi possibili, appunto.
Peccato che ogni ateneo abbia o abbia avuto le sue grane di concorsi truccati, di appalti su misura, di fondi dispersi. Perché succeda lo spiega Giambattista Sciré, autore del libro-inchiesta Mala Università (Chiarelettere), in cui mette insieme le molte indagini che hanno travolto le università italiane e fondatore di “Trame”. “E’ molto semplice, grazie alla riforma Gelmini del 2010 il rettore è diventato un autocrate che ha potere di vita e di morte su docenti e capi dipartimento che lui stesso nomina. Fa pure parte del Senato accademico che un tempo fungeva da contrappeso e godeva di una certa autonomia. Gestisce pure il collegio di revisione perché nomina pure quello. Quando il cda prende decisioni lo fa all’unanimità perché il docente preferisce tacere piuttosto che entrare in urto e magari ritrovarsi fuori da questo innercircle del potere accademico, dove non c’è alcuna democrazia decidente, nessuno confronto o dibattito interno. E’ il trionfo del clientelismo e della compiacenza per convenienza. Perché se ti metti di traverso resti segnato a vita, non mandi più nessuno in cattedra. Non so immaginare, in queste condizioni, cosa ne sarà dei fondi europei del Pnrr: fondi pubblici che saranno spesi da piccole consorterie private sulle cui scelte nessuno controlla, salvo intervento della magistratura. Succede per i concorsi, succede per le risorse”.
Un timore motivato anche dalla mancanza di trasparenza in cui si sono imbattuti i docenti coinvolti nella ricerca. “Avevamo in realtà deciso di studiare i dati di 15 atenei che avevamo selezionato e sui quali c’era stata la disponibilità di indagine, ma strada facendo abbiamo scoperto che gli atenei di Catania, Macerata, Milano statale, Ferrara e Salerno non rendono accessibili i verbali con le delibere dei loro CdA. Non le rendono pubbliche, cioè non solo non risultano visionabili dai cittadini ma perfino dai docenti e dal personale che in essi lavora. Si tratta di un segnale di mancata trasparenza di atti amministrativi di interesse pubblico che lascia sgomenti”. In alcuni casi, come a Catania, l’accesso è negato perfino ai docenti che ne fanno parte. Altre volte viene concesso, ma non si rendono visibili gli allegati che sono parti integranti e sostanziali delle delibere: “E’ evidente che talvolta il solo verbale, privo degli allegati, non consente una lettura intellegibile della decisione. Viene da chiedersi, ma la risposta si intravede agilmente, la ragione per la quale questi atenei nascondano l’accesso delle proprie delibere”.
Cronaca
Concorsi truccati, baroni e docenti omertosi. Tutti i professori nei cda sanno cosa succede. Ma approvano il 97% delle delibere d’ateneo
L'associazione per la trasparenza nelle università analizza 3.547 delibere di 10 atenei. Solo tre su cento hanno visto un consigliere votare in dissenso, il resto delle decisioni prese passa all'unanimità. Così i prof diventano testimoni silenti dei misfatti, un sistema che mette a rischio anche i fondi del Pnrr. Cinque grandi atenei bocciati in trasparenza: non hanno mai fornito dati
In un orizzonte cupo di covid e guerra, segnato da divisioni, c’è un luogo ideale dove tutti sono d’accordo: è il mondo accademico, quello che figlia concorsi truccati di cui nessuno s’accorge salvo la vittima esclusa. Chi assiste al fattaccio laddove si compie, tace. Più che un sospetto, oggi è una matematica certezza. Ilfattoquotidiano.it anticipa in esclusiva uno studio che dimostra come il 97% delle decisioni assunte nei cda degli atenei sono votate all’unanimità. Un dato clamoroso che si deve alla mobilitazione degli iscritti di Trasparenza e Merito (Trame), l’associazione nata proprio per contrastare le opacità in fatto di assegnazione di cattedre e risorse. Professori e ricercatori si sono presi la briga di richiedere e verificare ben 3547 delibere del 2020 a 15 atenei italiani di diversa dimensione. Per poi scoprire che solo 3 consiglieri su 100 avevano votato in dissenso. E che molte università si sono rifiutate di renderle pubbliche e fornirle ai ricercatori.
Il risultato dell’esperimento è significativo per chi volesse andare alla radice più profonda della malapianta che foglia continui scandali e inchieste della magistratura. Consente di andare oltre il dito puntato contro la casta dei “baroni” e di codificare il sistema di potere in cui si muovono i massimi organi deliberativi degli atenei, sistema del tutto legale e normato dalla legge, ma che consente loro di fare il bello e il cattivo tempo, finché bussa la Finanza. A scarni numeri è appesa la “grande epopea” del mondo alla rovescia, dove al massimo del sapere e della conoscenza non corrisponde il loro esercizio verso il bene collettivo. Un mondo appeso a pochi numeri: dalle delibere d’ateneo si scopre che solo 3 consiglieri su 100 hanno avuto l’ardire di verbalizzare una posizione di dissenso (o di votare contro) la decisione assunta preventivamente dai colleghi. “Galateo accademico”, lo chiamavano i docenti della facoltà di Giurisprudenza di Genova, intercettati dalla Finanza perché nell’assegnare concorsi per il posto da docente o ricercatore andavano all’esatto contrario di quanto previsto dalla legge. E cioè “andavano scelti prima i vincitori e poi fatti i bandi”.
Va ricordato che il cda è l’organismo di maggior potere all’interno della vita e dell’organizzazione accademica: decide l’indirizzo strategico, la programmazione finanziaria annuale e triennale e sul personale, le proposte di reclutamento e chiamata di professori e ricercatori formulate dai dipartimenti, nonché di vigilanza e controllo sulla sostenibilità finanziaria delle attività. Delibera l’attivazione o soppressione di corsi e sedi, strutture per la didattica, la ricerca e i servizi, il regolamento di amministrazione e contabilità, nonché, su proposta del rettore e previo parere del senato accademico, l’approvazione del bilancio, il piano edilizio dell’ateneo assegnando le relative risorse. Last but not least, esercita il potere disciplinare sui docenti e conferisce l’incarico, su proposta del rettore, al direttore generale, decidendo in merito alla revoca e alla risoluzione del rapporto di lavoro. Tutto, insomma, si decide lì. Ecco perché era importante capire “come”. La curiosità, si fa per dire, era capire come si fanno le scelte in quel ristretto consesso di decisori pubblici che in mano ha il destino degli atenei, a partire dai fondi ordinari per arrivare a quelli straordinari che pioveranno dal Pnrr: sceglie con logiche democrati e trasparenti?
Dallo studio pare proprio di noi. Se a Firenze, per dirne una, in un anno si tenute 16 sedute che hanno “licenziato” 611 delibere e 594 sono state approvate da tutti i consiglieri, il 97,22%. E che dire della Sapienza di Roma con 415 delibere su 419 ha il record del 99%? Vale la pena notare che nella casistica raccolta non c’è alcuna differenza tra gli atenei minori che hanno una mole di decisioni inferiori da prendere e quelli grandi o “mega”. L’Università di Udine ha 14mila iscritti ma il suo tasso di “compattezza” dei consiglieri (98,33%) è del tutto analogo a quella di Padova che di iscritti ne conta oltre 60mila, a riprova che ogni decisione presa, su tutto il complesso di attività gestite dal cda, viene sottoscritta senza alcuna voce critica. Un mondo dove non ci sono distinguo, critiche, contrapposizioni. Il migliore dei mondi possibili, appunto.
Peccato che ogni ateneo abbia o abbia avuto le sue grane di concorsi truccati, di appalti su misura, di fondi dispersi. Perché succeda lo spiega Giambattista Sciré, autore del libro-inchiesta Mala Università (Chiarelettere), in cui mette insieme le molte indagini che hanno travolto le università italiane e fondatore di “Trame”. “E’ molto semplice, grazie alla riforma Gelmini del 2010 il rettore è diventato un autocrate che ha potere di vita e di morte su docenti e capi dipartimento che lui stesso nomina. Fa pure parte del Senato accademico che un tempo fungeva da contrappeso e godeva di una certa autonomia. Gestisce pure il collegio di revisione perché nomina pure quello. Quando il cda prende decisioni lo fa all’unanimità perché il docente preferisce tacere piuttosto che entrare in urto e magari ritrovarsi fuori da questo innercircle del potere accademico, dove non c’è alcuna democrazia decidente, nessuno confronto o dibattito interno. E’ il trionfo del clientelismo e della compiacenza per convenienza. Perché se ti metti di traverso resti segnato a vita, non mandi più nessuno in cattedra. Non so immaginare, in queste condizioni, cosa ne sarà dei fondi europei del Pnrr: fondi pubblici che saranno spesi da piccole consorterie private sulle cui scelte nessuno controlla, salvo intervento della magistratura. Succede per i concorsi, succede per le risorse”.
Un timore motivato anche dalla mancanza di trasparenza in cui si sono imbattuti i docenti coinvolti nella ricerca. “Avevamo in realtà deciso di studiare i dati di 15 atenei che avevamo selezionato e sui quali c’era stata la disponibilità di indagine, ma strada facendo abbiamo scoperto che gli atenei di Catania, Macerata, Milano statale, Ferrara e Salerno non rendono accessibili i verbali con le delibere dei loro CdA. Non le rendono pubbliche, cioè non solo non risultano visionabili dai cittadini ma perfino dai docenti e dal personale che in essi lavora. Si tratta di un segnale di mancata trasparenza di atti amministrativi di interesse pubblico che lascia sgomenti”. In alcuni casi, come a Catania, l’accesso è negato perfino ai docenti che ne fanno parte. Altre volte viene concesso, ma non si rendono visibili gli allegati che sono parti integranti e sostanziali delle delibere: “E’ evidente che talvolta il solo verbale, privo degli allegati, non consente una lettura intellegibile della decisione. Viene da chiedersi, ma la risposta si intravede agilmente, la ragione per la quale questi atenei nascondano l’accesso delle proprie delibere”.
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Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - A Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, verranno rilasciati tre ostaggi (Omer Shem Tov, Eliya Cohen e Omer Wenkert) rapiti il 7 ottobre, anziché quattro come si pensava in precedenza. Il quarto ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, verrà liberato in un altro luogo e senza una cerimonia pubblica. I veicoli della Croce Rossa sono presenti a Nuseirat, ma sembra che ci potrebbe essere ritardo nella consegna.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - Ansia e depressione, nei pazienti con cancro, peggiorano la risposta alle cure e riducono la sopravvivenza. Lo evidenziano i risultati di uno studio (Stress Lung) pubblicato su 'Nature Medicine' e condotto su 227 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato e trattati in prima linea con farmaci immunoterapici. A 2 anni, solo il 46% dei pazienti con distress emozionale, in particolare ansia e depressione, era vivo rispetto al 65% delle persone colpite dal carcinoma polmonare, ma senza segni di disagio psicologico. In Italia lo psicologo dedicato all'oncologia è presente, sulla carta, in circa la metà dei centri, in realtà solo il 20% delle strutture dispone di professionisti formati per affrontare il disagio mentale determinato dal cancro. Per contribuire a colmare questa lacuna nasce 'In buona salute', la prima piattaforma online di psiconcologia in Italia (inbuonasalute.eu), presentata ieri a Milano, in un incontro con la stampa. Si tratta di un luogo sicuro, accessibile e altamente professionale - riporta una nota - dove pazienti, caregiver e operatori sanitari possono ricevere un aiuto qualificato, senza limiti di tempo o spazio.
"Si stima che più del 50% dei pazienti oncologici sviluppi livelli significativi di distress emozionale che hanno un impatto negativo sulla qualità di vita, sull'adesione ai trattamenti e, quindi, sulla sopravvivenza - spiega Gabriella Pravettoni, responsabile scientifico di 'In buona salute', direttrice della divisione di Psiconcologia dell'Istituto europeo di oncologia e professoressa di Psicologia delle decisioni all'Università degli Studi di Milano - Il sostegno psiconcologico è fondamentale prima, durante e dopo le cure. Sono contenta che ci siano iniziative di questo genere dove si possa offrire un supporto concreto e personalizzato a chi affronta il tumore, attraverso un percorso di cura psicologica mirato e focalizzato al miglioramento del benessere mentale durante ogni fase della malattia".
Dopo aver completato un questionario online, la piattaforma suggerisce lo specialista più in linea con le necessità di ogni persona. E' infatti disponibile un team di psiconcologi certificati, impegnati a fornire un aiuto prezioso a pazienti, caregiver e operatori sanitari. Nella piattaforma è possibile trovare risorse, supporto emotivo e informazioni affidabili. E' consigliato un ciclo di 10 sedute online di 50 minuti.
"Troppo spesso i risvolti psicologici di una diagnosi di cancro sono lasciati in seconda linea, rispetto ai bisogni strettamente clinici - continua Pravettoni - Vanno considerate le difficoltà dei medici a discutere di questi argomenti durante la visita, anche per mancanza di tempo, e la riluttanza dei pazienti a confidarli, talvolta per lo stigma ancora associato ai problemi legati alla salute mentale. Anche quando i problemi psicologici vengono riconosciuti, non è facile gestirli nella pratica clinica. Non esiste, infatti, un modello di valutazione e intervento adatto a tutte le circostanze. Anche il supporto psiconcologico deve adeguarsi e rispondere ai bisogni dei pazienti, adottando tutti gli strumenti utili, incluse le sedute online".
Nel 2024, nel nostro Paese, sono stati stimati 390.100 nuovi casi di tumore. Grazie ai programmi di screening e ai progressi nelle terapie, aumenta il numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni. "La cura a 360 gradi di questi cittadini deve implicare una maggiore attenzione alle conseguenze psicologiche della malattia - afferma Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di Oncologia medica dell'Irccs Ospedale policlinico San Martino, Università di Genova - Il distress emozionale nelle persone colpite dal cancro è una condizione frequente, che ha un impatto negativo sulla qualità della vita e sulla sopravvivenza. I pazienti oncologici con sintomi depressivi mostrano, inoltre, una minor aderenza ai protocolli terapeutici. Uno studio retrospettivo ha indagato il grado di accettazione della chemioterapia adiuvante in donne con carcinoma della mammella: tra le pazienti con depressione che non hanno richiesto aiuto psicologico, solo il 51% ha accettato di sottoporsi alla chemioterapia. L'associazione tra sintomi depressivi e riduzione della sopravvivenza può essere dovuta non solo alla mancata aderenza terapeutica, ma anche alla risposta allo stress cronico e ai meccanismi immunitari implicati".
Per garantire "servizi adeguati di psiconcologia - prosegue Del Mastro - serve non solo un potenziamento delle risorse, ma anche riconoscere il ruolo dello psiconcologo all'interno del team multidisciplinare. Inoltre, i pazienti devono essere informati di più e meglio sull'opportunità di beneficiare di questi servizi. Ad esempio, la norma che ha istituito in Italia le Breast unit ha stabilito che, all'interno dei team multidisciplinari, siano inclusi gli psiconcologi, ma troppo spesso nei centri di senologia mancano professionisti strutturati, sostituiti da figure che lavorano con contratti precari. Ecco perché sono importanti progetti come 'In buona salute', che possono rispondere alle esigenze di supporto emotivo dei pazienti. Va considerata anche la facilità di accesso al servizio online, perché non è necessario spostarsi per accedere alle strutture, vantaggio importante soprattutto quando si tratta di pazienti fragili in trattamento".
Aggiunge Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia: "Già dalla diagnosi la donna si trova a affrontare una serie di problematiche che afferiscono all'ambito psicologico. Stress, disturbi d'ansia, depressione, immagine corporea alterata, difficoltà nella sfera emotiva, familiare e di coppia, sono le più comuni di un elenco purtroppo molto lungo. Grazie anche all'aiuto dello psiconcologo, è possibile per la paziente sviluppare una capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla malattia, arrivare cioè a quello stato di resilienza necessario a superare le difficoltà nel percorso di cura. Lo psiconcologo dovrebbe essere presente, insieme all'oncologo medico, fin dall'inizio, ad ogni colloquio, anche se siamo ben consapevoli della carenza di personale dedicato e della precarietà degli incarichi".
"Mentre ci impegniamo con forza affinché questi limiti vengano superati e si rispettino le linee guida europee che prevedono la presenza dello psiconcologo in tutte le Breast Unit, accogliamo con favore la disponibilità di una piattaforma online con figure specializzate - conclude - a cui pazienti e familiari possano rivolgersi con la certezza di trovare un supporto qualificato".