La storia si ripete. Nel 1973, quando i paesi arabi quadruplicarono il prezzo del petrolio, divennero agli occhi del mondo occidentale i responsabili dell’impennata dell’inflazione e della susseguente stagflazione. A nessuno vene in mente di dire che da almeno due decenni gli Stati Uniti inflazionavano il dollaro e le monete agganciate al dollaro e che facevano parte del gold exchange standard. Neppure l’ammissione da parte di Nixon, quando nel 1971 dichiarò la fine della convertibilità del dollaro in oro, che Washington aveva finanziato la guerra in Corea e in Vietnam, stampando carta moneta ben oltre i livelli permessi dalle riserve aurifere, venne collegata all’aumento dei prezzi.
Gli arabi erano i villani e noi occidentali le vittime. L’infallibilità dell’Occidente quale modello superiore a tutti gli altri rimase un dogma accettato da tutti. Oggi la dicotomia bene-male ci viene riproposta e si chiede un atto di fede nei confronti del sistema capitalista moderno simile a quello degli anni Settanta. La responsabilità del processo di de-globalizzazione in corso viene attribuita ad altri, l’inflazione alla guerra in Ucraina e ai lockdown in Cina, persino la carenza di manodopera non è colpa nostra ma di qualche oscuro meccanismo creatosi all’estero, fuori dai confini del mondo libero. Quando andiamo al supermercato, quando apriamo la bolletta della luce o facciamo il pieno dal benzinaio malediciamo Russia e Cina proprio come facevamo negli anni Settanta quando passavamo le domeniche in bicicletta maledicendo l’Opec.
Raccontarsi questa favoletta non fa bene a nessuno, neppure a chi la divulga, perché come abbiamo visto negli anni Settanta le grandi crisi economiche portano ad un cambio di guardia radicale a livello politico. La soluzione del problema allora avvenne con l’ascesa di Reagan e Thatcher, rispettivamente negli Stati Uniti e nel Regno Unito. I tassi d’interesse arrivarono a cifre da strozzinaggio, il 15 per cento nel Regno Unito. E chi ne fece le spese furono le piccole e medie imprese e una generazione di giovani con poca scolarità, che faticò ad entrare in un mercato del lavoro in contrazione. La cura funzionò non perché il neo-liberismo di Reagan e Thatcher fosse un sistema superiore a tutti gli altri; l’esperimento funzionò perché venne giù il muro di Berlino e uno tsunami di manodopera a poco prezzo si unì alla deregolazione finanziaria.
Oggi ci si prospetta uno scenario molto simile a quello degli anni Settanta e Ottanta, anni di Guerra Fredda, di tensioni politiche interne ed esterne, di guerre per procura. Anche l’idea che la globalizzazione abbia democratizzato il mondo e che il peso dei regimi autoritari sia sceso è una favola. Nel 1983, quando Reagan e Thatcher erano al potere, questi ultimi contribuivano per il 20 per cento al GDP mondiale. Nel 2022 la percentuale è salita al 34 per cento. Gli scambi tra paesi democratici ed autoritari, poi, ammontano al 7 per cento del PIL mondiale. Nel mondo globalizzato democrazia e dittatura sono intimamente connesse.
Bloomberg ha condotto una simulazione per vedere cosa succederà all’economia globale se il processo di globalizzazione farà marcia indietro. L’introduzione di una tariffa del 25 per cento su tutto il traffico globale farebbe contrarre il commercio internazionale del 20 per cento. Ciò significa tornare ai livelli dell’inizio degli anni Novanta prima che la Cina entrasse nel World Trade Organization. Tutti i paesi si vedrebbero costretti a spostare le risorse verso attività in cui sono meno bravi. Un pezzo della produttività associata al commercio internazionale sarebbe perso. A lungo termine, il mondo sarebbe per il 3,5 per cento più povero rispetto allo scenario di stabilizzazione del commercio e per il 15 per cento più povero rispetto a uno scenario di maggiori legami globali.
L’esperimento di Reagan e Thatcher potrebbe a breve essere ripetuto, ma come allora anche oggi – senza il connubio tra manodopera a basso prezzo e finanziarizzazione – non funzionerebbe: forse è questo il motivo per cui si vuole un cambio di regime a Mosca e a Pechino? Senza l’Occidente si potrebbe ritrovare in una posizione di maggiore decadenza di quella attuale.