“A queste condizioni non si può lavorare. La Rai ci dia più settimane di riprese altrimenti la fiction di Rocco Schiavone finisce qui”. Antonio Manzini è stanco e anche un tantino arrabbiato. Tra le poltroncine della Sala Rossa al Salone del Libro di Torino 2022, lo scrittore ideatore della saga del vicequestore Rocco Schiavone, edita in ogni sua virgola e punto e virgola da Sellerio, sembra come trascinarsi dietro onori e oneri di uno dei casi letterari internazionali più acclamati e popolari dell’ultimo decennio. A partire dalla riduzione, che pare sempre più riducibile e ridotta, dei suoi romanzi nella serie televisiva targata Rai con Marco Giallini protagonista, arrivata alla quinta stagione. “Il caldo di queste ore è un vero e proprio attentato. Voi giornalisti lo sapevate”, scherza lo scrittore con noi di FQMagazine poco prima di salire sul palco per un reading da Le Ossa Parlano (Sellerio) assieme a Tullio Sorrentino, “Brizio” nella serie tv.
In quest’ultimo capitolo siamo di fronte ad uno Schiavone inedito: inizia ad addolcirsi, umanizzarsi, ad ammorbidire gli spigoli…
Credo cominci a sentire il peso degli anni, è travolto da tutto il peso della stanchezza di una vita. Poi, come per tutti noi, subisce gli strali e le percosse del tempo, e c’è chi sa reagire in un modo chi in un altro. Lui al momento si sta un po’ chiudendo, sta andando un po’ in letargo. Ma come tutti i mammiferi quando si risveglierà non sapremo come sarà. Non lo so neanch’io. Il tempo è una brutta bestia. Ti mette davanti non a delle sfide mostruose ma semplicemente al fatto che il tuo corpo comincia a reagire in un altro modo, la tua testa comincia a pensare in un altro modo, molte cose non hanno più senso
Vedi l’addio alla “sua” Roma…
Certo, Roma non ha più alcun senso ormai per Rocco Schiavone. È stato un abbandono. Una specie di lutto che ha finalmente superato.
Anche perché si sta sfaldando anche il legame con gli amici storici, la sua “famiglia” d’elezione è sempre più in crisi…
Scopre che ci sono tradimenti anche lì, magari terrificanti. L’amicizia è gratuita.
Riuscirà Schiavone a perdonare?
Non credo (fa una pausa ndr). No, non ce la farà.
Quanto ha di già pronto, in questo istante, nella sua testa di quello che succederà nel futuro di Schiavone?
Un 7%.
Facciamo 8%?
Sì, ve la passo, ma comunque pochissimo. Questo è un brutto momento perché di solito mi avvantaggiavo. Di fronte alle idee che mi venivano le buttavo giù, stavolta sono spoglio. Ho scritto altre cose e ho dovuto lavorare sulla fiction che ti prende tempo, ma soprattutto pazienza, energie, vorresti uccidere tutti.
Marco Giallini rimane comunque nell’immaginario comune Rocco Schiavone.
Secondo me Marco si è stancato. Parliamoci chiaro: non si può sempre fare le nozze coi fichi secchi. Non si può pretendere, e parlo anche a nome di uno degli attori della serie qui con me (Tullio Sorrentino, ndr) di avere una serie con quattro, cinque, episodi di 100 minuti, che sono ognuno un film a tutti gli effetti, con l’ira d’Iddio di meravigliose località, dal Monte Bianco a Pré Sant-Didier, realizzata in sole quattro settimane di riprese. Non si può pretendere un ottimo prodotto lavorando con i tempi contati. Schiavone, lo dico con orgoglio, è un prodotto venduto in 14 paesi, anche in Giappone. È il prodotto Rai più venduto della storia. Quindi non si può pretendere di avere questo gioiello di sceneggiato con soltanto 4 settimane di lavorazione. Se non aggiungono dei soldi, del tempo per le riprese e danno la possibilità ad attori del calibro di Giallini di non dover stare dodici ore sul set – perché per dodici ore è dura, lui non ha più 30 anni, si stanca e sono stanchi anche gli altri attori – è difficile proseguire. Questa storia mi ha rotto le scatole. Avere un respiro più ampio di sei settimane per lavorare andrebbe bene, anche perché i soldi rientrano.
È un appello alla Rai, il suo…
Comincia ad essere una pretesa a difesa dei miei ex colleghi che fanno questo mestiere, la regia, la scrittura, tutti. Perché non si può correre così. È difficile continuare a fare un prodotto del genere in quattro settimane. Non è un set dove entra uno in scena e dove esce un altro così come capita. C’è una fotografia della madonna, movimenti di macchina complessi, perfino la neve dove non c’è. Quella che si vedrà nella prossima serie in natura non c’era. L’hanno messa le maestranze del set tecnico. Ogni volta che c’era da girare un esterno questi disgraziati salivano a duemila metri caricavano sei camion di neve vera e la portavano ad Aosta. Tutto questo non richiede solo uno sforzo fisico ma anche del tempo. Non si può quindi continuare a pensare che con i soldi che danno si può continuare ad avere un prodotto che competa all’estero con le altre serie. Le serie inglesi e francesi costano quattro volte questa. Basta, c’è un limite.
L’aderenza della fiction al romanzo è altissima…
Sì, e per mantenerla ci vogliono i soldi. E i soldi vanno messi. Altrimenti se non si vuole facciamo una cosa radiofonica costa molto meno. Se poi mi si viene a dire che non interessa venderlo all’estero è un altro discorso. A quel punto non me ne frega più niente di farla.
Si sarebbe mai aspettato una tale complicazione organizzativa e mentale che ti porta via tutto, energie, tempo, voglia?
No. All’inizio ero felicissimo. La Rai è stata meravigliosa. Parliamoci chiaro: hanno preso un personaggio che si fa le canne, mena, ruba e l’ha messo in tv. Chapeau. Non me l’aspettavo neanche che potesse succedere una cosa del genere e son contento. Ora però la situazione è un’altra: abbiamo iniziato all’epoca giocando a scopa tra di noi in un tavolino e adesso siamo in un casinò e puntiamo assieme a giocatori cinesi e coreani. Ripeto: non chiedo mica la luna, basterebbero due settimane in più di lavorazione…
Delle spese si rientrerebbe con ricavi in gran quantità…
Assolutamente sì. È che ti scontri con logiche a me non chiare.
Cosa vedremo nella nuova serie?
Le vicende narrate in “Vecchie conoscenze” per tre episodi. Poi il primo episodio è composto da due racconti: uno è la partita di calcio modello commedia riempitiva, l’altro invece è un giallo che si svolge sul Monte Bianco. Torno a dire: ad esempio lavorando in quota la pressione di molti non ha retto, oppure per chi organizza il set il tempo in montagna cambia ogni secondo e per tutte le scene che saltavano non c’era molto spazio successivo per il recupero. A questo punto facciamo tutto in un monastero, con due frati protagonisti… inutile: questo prodotto ha bisogno di un respiro produttivo più ampio.