Nel trentennale della strage di Capaci – l’attentato mafioso del 23 maggio 1992 in cui morirono Giovani Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo – istituzioni e autorità si sono ritrovate a Palermo, all’iniziativa “La memoria di tutti” organizzata dalla fondazione Falcone al Foro italico Umberto I. C’era il capo dello Stato Sergio Mattarella, accolto da un lungo applauso al Foro Italico: “Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio allorché la storia della nostra Repubblica sembrò fermarsi, come annientata dal dolore e dalla paura. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il Paese di fronte a quell’agguato senza precedenti“, ha esordito nel proprio discorso. Ma “del tutto al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle istituzioni democratiche. Il dolore e lo sgomento di quei giorni divennero la drammatica occasione per reagire al violento attacco sferrato dalla mafia; a quella ferocia la nostra democrazia si oppose con la forza degli strumenti propri dello Stato di diritto. Altrettanto significativa fu la risposta della società civile, che non accettò di subire in silenzio quella umiliazione e incoraggiò il lavoro degli investigatori contribuendo alla stagione di rinnovamento”, ha ricordato.
Poi il presidente della Repubblica, fratello di una vittima innocente di Cosa Nostra, ha dedicato un passaggio alla figura di Falcone: “La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità delle funzioni rivestite e la propria dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia”. Ma le sue “visioni d’avanguardia, lucidamente “profetiche”, non furono sempre comprese; anzi in taluni casi vennero osteggiate anche da atteggiamenti diffusi nella stessa magistratura“, ricorda. La vicenda di Falcone, e in particolare la sua mancata nomina a capo dell’Ufficio istruzione di Palermo a vantaggio del più anziano ma meno esperto Antonino Meli, ha poi fatto sì che “anche l’ordinamento giudiziario” sia “stato modificato per attribuire un maggior rilievo alle obiettive qualità professionali del magistrato rispetto al criterio della mera anzianità. Le esperienze innovative di quegli anni – prosegue Mattarella – si sono tradotte, all’indomani dei drammatici attentati, in leggi che hanno fatto assumere alla lotta alla mafia un livello di incisività ed efficacia mai raggiunto fino ad allora. Con la determinazione di fare giustizia, facendo prevalere il diritto, ripristinandolo. Per consentire alle persone pienezza di libertà e maggiori opportunità di futuro contro la presenza delle mafie che ne ostacola e talvolta ne impedisce l’effettiva libertà”.
A Palermo non c’era il premier Mario Draghi, che ha espresso il proprio ricordo in una nota. “Grazie al coraggio, alla professionalità, alla determinazione di Falcone, l’Italia è diventato un Paese più libero e più giusto. Falcone e i suoi colleghi del pool antimafia di Palermo non hanno soltanto inferto colpi decisivi alla mafia. Il loro eroismo ha radicato i valori dell’antimafia nella società, nelle nuove generazioni, nelle istituzioni repubblicane. Oggi dobbiamo continuare a far rivivere il senso più profondo dell’eredità di Falcone, nella lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e nella ricerca della verità“, scrive. Oggi però è anche il giorno di chi continua a chiedere la verità sui buchi neri di questa e delle altre stragi – il focus del podcast Mattanza prodotto dal Fatto Quotidiano – oltre la “versione pacificata” accreditata dalla narrazione comune: “Collaborate, fateci conoscere la verità”, è l’appello di Rosaria Costa, vedova dell’agente Schifani, che ai funerali nel 1992 lanciò un celebre appello ai boss (“Vi perdono, ma inginocchiatevi”). “Agli uomini dello Stato che hanno tradito direi di comportarsi degnamente, anche alle forze dell’ordine che indossano la divisa, di non sporcarla come hanno fatto in passato quelli che hanno tradito. Il mio appello è: cercate di avere una coscienza perché poi andrete a vedervela con Dio”, dice intervistata al Giornale radio Rai, su Radio 1.
Oltre a Mattarella, alla commemorazione di Palermo erano presenti i ministri dell’Interno Luciana Lamorgese, della Giustizia Marta Cartabia, dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa e degli Esteri Luigi Di Maio, il capo della Polizia Lamberto Giannini, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e il procuratore di Roma Francesco Lo Voi. Tra i primi a intervenire l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, già procuratore nazionale antimafia, che ha ricordato il Maxiprocesso di Palermo – istruito proprio da Falcone – di cui è stato giudice a latere: “Fu una svolta epocale, che io ho visto successivamente come una guerra di resistenza e liberazione che il pool antimafia aveva messo in atto, un modo per fare vedere il volto della mafia dentro le gabbie e potere andare avanti. Era un modo per fare dire finalmente che la mafia esisteva. Non dimentichiamo che tutti gli omicidi eccellenti ancora non avevano portato questo risultato. Insomma, è stata una svolta epocale, che ha dato la possibilità di ottenere grandi risultati”, ha detto. Anche Maria Falcone, presidente della fondazione, ha ricordato il fratello: “Lui non voleva essere un eroe, voleva essere un magistrato che faceva il proprio dovere. Non dobbiamo pensare solo al passato, ma anche al futuro per questa nostra città”.