“Sono andata via dall’Italia la prima volta nel gennaio del 2013, direzione Uk. Per me in quel giorno si sono aperti orizzonti che non avevo nemmeno osato immaginare”. Isabella Sorace ha 32 anni e viene da un piccolo paesino in provincia di Bergamo. Ha lasciato l’Italia dopo due stage non pagati. Da allora non è più tornata. Tutto è iniziato grazie a una borsa di studio a Milano. “Per la mia laurea specialistica ho ottenuto una borsa che copriva tutti i costi in Bocconi: così ho completato il Master of Science in Finance (in lingua inglese). Quel momento ha cambiato completamente le mie prospettive. Arrivando da un background molto modesto non avrei mai nemmeno immaginato di andare alla Bocconi”. Durante la specialistica la giovane bergamasca ha fatto esperienza in Israele e Inghilterra, e svolto due stage (non pagati) uno a Milano e uno a Londra, per una grossa banca italiana. Il primo lavoro a contratto di Isabella, invece, risale al 2013, a Milano. “Ero consulente tecnica per un gruppo mondiale nel settore finanziario”.

Poi, la decisione di partire per la Svizzera. Nei primi mesi Isabella lavora in una piccola startup “giusto per coprire le spese”. A giugno 2016 entra in una grande multinazionale con sede a Zurigo, nel ruolo di senior consultant. “Negli anni sono cresciuta in questa azienda”, racconta, (arrivando a essere oggi senior manager). Il prossimo step è la “costruzione del mio team e la promozione a director”, sorride. In Svizzera si respira un’aria internazionale molto più che in Italia. Le aziende tendono a “prendere il meglio dalle varie culture – spiega Isabella – anche se, comunque, parliamo di un Paese ‘arretrato’ per quanto riguarda la situazione delle donne. Nonostante questo nella mia azienda sono cresciuta come mai avrei potuto fare in Italia: mi viene riconosciuto un livello di rispetto (da tutti) che da giovane donna non avrei sperimentato in patria”. A Milano, al contrario, Isabella ha lavorato per due aziende con presenza globale, “ma l’ambiente lavorativo rifletteva alcuni stereotipi italiani: estremamente gerarchico, restio all’innovazione, patriarcale”.

A Zurigo l’orario di pranzo “inizia alle 11.45, non alle 13.30” – racconta Isabella –, i supermercati sono “chiusi la domenica” e in generale “i negozi fanno orari da ufficio (questo perché molte donne svizzere, purtroppo, non lavorano”); ci si muove “soprattutto con i mezzi pubblici”, se c’è bel tempo in bici e “solo se veramente necessario si usa l’auto”; mangiare fuori è “particolarmente costoso”, la spontaneità “non esiste”, e per uscire con la maggior parte della gente “bisogna organizzare con almeno 3 settimane di anticipo. Cosa che trovo molto difficile”, sorride. I salari svizzeri “fanno gola a molti, ma bisogna capire – aggiunge – che un bilocale in centro qui costa 2.500 franchi al mese, l’assicurazione sanitaria si paga a parte, mandare un bambino a scuola può arrivare a costare 3.000 franchi al mese. E il carico fiscale non è basso come ci si aspetterebbe”.

Sorace ha scritto anche un libro che raccoglie le “storie di una generazione perduta”. La vita da expat è “spesso molto più complessa” di come la si immagina dall’Italia. “Ci chiamano cervelli in fuga, come se tutto quello che ci portiamo dietro fosse solo il nostro lavoro. Non è così. Partire è la cosa più semplice, rimanere poi fermi a lungo in un nuovo Paese diventa invece complicato. A Zurigo ci sono molti italiani, ma la maggior parte di loro non rimane. Dopo qualche anno tornano in Italia, o si spostano altrove. La difficoltà sta proprio nel mettere nuove radici”. Pensa di tornare, un giorno? “C’è sicuramente la voglia di vivere in un Paese dove parlo bene la lingua, dove condivido la cultura del cibo e la maggior parte della gente vive in mondo spontaneo e non programmato”. Però ci sono aspetti importanti della Svizzera che oggi Isabella non troverebbe in Italia: “La condizione economica, l’ambiente di lavoro”.

I suoi nonni si sono spostati dal Sud verso Firenze. Suo papà in Germania, sua mamma in Lombardia. Oggi i suoi genitori vivono a Parigi, sua sorella ad Amsterdam. “Siamo sempre stati una famiglia internazionale. Per noi emigrare non è mai stato considerato anomalo”. Di sicuro all’estero “sono diventata più patriota di quanto fossi in Italia – conclude –. Vedere come nessun Paese è perfetto ti fa apprezzare più il tuo. Se dovessi trovare un lavoro che mi dà la stessa soddisfazione di quello che ho a Zurigo, potrei effettivamente pensare di tornare. Se no, aspetto la pensione”.

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“A Zurigo sono tornato a fare il mio lavoro: il medico. In Italia ero diventato un burocrate: passavo i giorni a gestire il budget”

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“Dalla Calabria agli Usa per tre anni. Adesso lavoro in smart working da Pizzo: si è efficienti anche a distanza. E mi hanno promosso”

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