“Non c’è un omicidio sbagliato, finora, in seno a Cosa nostra“. Sono parole profetiche quelle pronunciate da Giovanni Falcone, durante un incontro con uomini della polizia giudiziaria. Siamo nel marzo del 1989: per il giudice è già iniziata la stagione dei veleni, che culminerà in estate con il fallito attentato dell’Addaura e le lettere del Corvo. Nell’audio inedito, pubblicato dall’agenzia Askanews, il magistrato assassinato nella strage di Capaci parla a ruota libera. Sembra voler sottolineare come le capacità e i legami ad alto livello di Cosa nostra siano stati spesso sottovalutati. “Quando si uccise Dalla Chiesa tutti dissero ‘è stato commesso un errore storico’. Poi hanno ucciso Chinnici, anche questo ‘errore storico’, poi hanno ucciso Cassarà e hanno detto, ‘altro errore storico’. E continuiamo a fare errori storici. Non hanno sbagliato. Hanno sempre indovinato: momento opportuno, momento giusto, hanno colpito al momento giusto, il che dimostra, a parte la ferocia e la determinazione, una assoluta conoscenza di notizie di prima mano”.
Il giudice del Maxi fa un elenco degli omicidi eccellenti compiuti negli anni ’80 e sembra voler sottolineare la capacità di Cosa nostra di avere sempre informazioni di prima mano: cosa che in effetti ha garantino garantire l’efficenza di certe operazioni militari come l’eliminazione di Rocco Chinnici o Ninni Cassarà. E che successivamente, il 23 maggio del 1992, sarà fondamentale per organizzare la strage di Capaci. Nel suo incontro con gli uomini della polizia giudiziaria Falcone delinea poi come la mafia abbia “una organizzazione a raggiera” che “produce certi risultati”. “Piaccia o non piaccia – prosegue – vi è una organizzazione unica ed unitaria che è Cosa nostra. E quella è l’associazione mafiosa. L’organizzazione di Cosa nostra è un qualcosa che investe tanto a reticolo tutto il territorio che basta che solo alcuni diano gli ordini, tutto il resto diventa un fatto automatico”. Poi il giudice sottolinea come l’epicentro della mafia sia comunque sempre a Palermo: “Su spostamenti di consigli di amministrazione della mafia dalla Sicilia altrove, togliamocelo dalla testa. Epicentro della mafia è sempre la Sicilia e Palermo – continua nell’audio il magistrato -. Non si può far parte e gestire Cosa nostra se non hai controllo del territorio nei punti cardine altrimenti duri lo spazio di un mattino”.
Ma nel lavoro firmato dai giornalisti Andrea Tuttoilmondo e Serena Sartini, Falcone analizza anche personaggi apicali in Cosa nostra come Totò Riina – all’epoca ancora latitante – e Pippo Calò. “Giuseppe Gambino, parlando del corto cioè di Totò Riina, dice che non si muova foglia senza che il corto non dia il suo benestare”, dice Falcone. Che poi sottolinea il ruolo del boss di Porta Nuova nella Capitale: “Pippo Calò era importante a Roma per se stesso, per i suoi importantissimi contatti con la delinquenza locale, la banda della Magliana in particolare. Non era cassiere della mafia, ma era cassiere di se stesso”.
Falcone poi parla anche di rapporti con altri magistrati, come per esempio quelli di Milano: “Ho avuto una lunga discussione, quasi uno scontro con i colleghi di Milano che si lamentavano perché a Palermo non si potevano fare pedinamenti, non si potevano scoprire cose. E dicevo: c’è una piccolissima differenza. A Milano voi fate i pedinamenti, qui si muore per queste cose”. All’epoca, tra l’altro, stava per entrare in vigore la riforma del processo penale: “Vero è – diceva Falcone – che questo impianto del nuovo codice impedisce, impedirà la celebrazione dei maxiprocessi ma questo non significa affatto impedire le maxi inchieste, anzi. Perché finora molto spesso la criminalità è organizzata, mentre la repressione è disorganizzata. Penso al dramma per molti miei colleghi che dovranno scendere dallo scranno del pubblico ministero seduto accanto alla corte e sedersi sui tavoli della difesa accanto ai difensori. Perché saranno parti, così come sarà parte la difesa privata”.