Nove mesi prima dell’avviso di garanzia per concorso esterno inviato dalla Procura di Palermo, oltreoceano c’era già chi considerava Giulio Andreotti un amico di Cosa nostra. È quanto si legge in un dispaccio riservato del 19 giugno del 1992 – citato da Repubblica in un articolo di Salvo Palazzolo – inviato dal Dipartimento di Stato Usa ai desk diplomatici dei Paesi della Nato, alla Casa Bianca, alla Cia e all’Fbi: nel documento si analizza l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro alla presidenza della Repubblica al posto dell’allora premier, che aspirava alla carica. “Le ultime speranze di Andreotti – commentano gli analisti – sono svanite con l’assassinio di Falcone, per via dei rapporti che il capo del governo intrattiene con figure sospettate di essere in odore di mafia“.

Il rapporto è citato nel libro “The end, 1992-1994. La fine della prima Repubblica negli archivi segreti americani” di Andrea Spiri, docente di storia dei partiti politici alla Luiss. Che ha ritrovato anche carte con considerazioni ben precise sull’eurodeputato Dc Salvo Lima, ucciso per “tradimento” da Cosa nostra nel marzo ’92: “Non era l’agente di un clan, ma fungeva da mediatore tra le famiglie e il governo”, scriveva il console generale Usa a Milano, Peter Semler, citando un non ben identificato “esponente del panorama politico” incontrato all’indomani del delitto. E così si torna al sette volte presidente del Consiglio: “Chiunque abbia voluto uccidere un uomo così vicino ad Andreotti, ha dovuto prima assicurarsi una protezione rispetto all’inevitabile, forte reazione politica e poliziesca che un’operazione del genere avrebbe comportato”.

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