I capi di imputazione a carico dei ragazzi - tra i 16 e i 17 anni - sono vari: associazione a delinquere, rapine, lesioni e minacce aggravate, estorsioni, resistenza a pubblico ufficiale e spaccio di stupefacenti. Le indagini hanno messo in risalto un "protocollo operativo"
“Famiglia Montana” era il nome che la baby gang sgominata ad Arezzo utilizzava sui social network. I nove ragazzi che ne facevano parte, tutti minorenni tra i 16 e i 17 anni, si ispiravano allo stile di vita di Tony Montana, gangster di “Scarface“. I capi di imputazione a carico della banda sono vari: associazione a delinquere, rapine, lesioni e minacce aggravate, estorsioni, resistenza a pubblico ufficiale e spaccio di stupefacenti. Ora sei di loro sono in carcere mentre gli altri tre si trovano in comunità. Le misure cautelari sono state emesse dal Tribunale per i Minorenni di Firenze su richiesta della Procura della Repubblica, eseguite dalla polizia di Stato insieme alla Municipale di Arezzo e il Reparto prevenzione crimine.
Sui social network i ragazzi pubblicavano foto che li ritraevano con vestiti neri – per evitare di essere riconosciuti – e con le armi in mano. Il tutto accompagnato da un numero nella didascalia: 52100. È il codice di avviamento postale dell’aretino e indicava i confini della zona sotto il loro controllo. I membri del gruppo, tutti residenti ad Arezzo, si sono resi responsabili, secondo gli inquirenti, di episodi violenti, aggressioni per futili motivi, minacce aggravate commesse a volte anche con l’utilizzo coltelli, tirapugni, colli di bottiglia, avvenute tra il 2021 e il 2022.
Ognuno aveva un ruolo particolare all’interno di un sistema gerarchico che prevedeva anche la possibilità di “fare carriera“. Le indagini hanno messo in risalto il “protocollo operativo“: la vittima, spesso sola e minorenne, veniva avvicinata con un pretesto per poi ritrovarsi improvvisamente accerchiata dal branco che con violenza si impossessava di telefonini, cuffie o portafogli. I soggetti svolgevano azioni diverse affinché tutto andasse a buon fine: c’era chi attirava la vittima con un pretesto, chi materialmente l’aggrediva e chi faceva il “palo” per avvisare gli altri nel caso fosse arrivata la Polizia. A volte le aggressioni erano cercate per futili motivi anche senza la volontà di impossessarsi di qualcosa, ma con l’unico scopo di dare sfogo alla violenza e per affermare la supremazia territoriale della baby gang in alcune parti del centro storico, con particolare riferimento alla zona di Piazza Sant’Agostino.