C’è una crisi montante di cui si parla troppo poco e per cui si sta facendo ancora meno. Nel mondo le persone che rischiano di non avere cibo a sufficienza sono aumentate da 440 milioni a 1,6 miliardi. Di questi, 250 milioni sono sull’orlo della fame. La guerra in Ucraina è il detonatore di quella che potrebbe trasformarsi in una catastrofe alimentare su scala globale. Se affrontata in tempo, si può evitare o almeno contenere. Altrimenti gli effetti saranno essenzialmente due. Da un lato, per noi europei, uno scontrino della spesa sempre più caro. Dall’altro, una carestia potenzialmente gigantesca nel nostro più immediato vicino, il continente africano. Per questo il piano di pace proposto dall’Italia assume oggi un’importanza capitale.
Il costo dei beni alimentari essenziali è iniziato a salire da inizio anno. Il grano è più caro del 53% rispetto al 2021. Oltre alle vittime civile innocenti, alle esecuzioni sommarie, ai milioni di Ucraini costretti a lasciare il proprio paese, la guerra di Putin sta mettendo in pericolo centinaia di milioni di vite. Per avere un’idea delle proporzioni, la Russia e Ucraina producono quasi un terzo del grano e dell’orzo a livello mondiale, il 75% dell’olio di girasole. La sola produzione Ucraina fornisce calorie in grado di sfamare 400 milioni di persone.
La guerra sta mettendo in pericolo tutto ciò e anche se si facesse la pace domani, cosa che mi auguro, gli effetti potrebbero essere prolungati.
La guerra, inoltre, si inserisce in un anno pessimo dal punto di vista alimentare. La Cina e l’India sono colpite da una delle peggiori ondate di calore mai registrate, una chiara manifestazione del cambiamento climatico, le cui conseguenze sono pessimi raccolti e un ulteriore aumento dei prezzi.
Le regioni più colpite da questa crisi sono le più povere e prossime a noi. L’Egitto (102 milioni di abitanti) importa l’80% del suo grano da Russia e Ucraina. E per i suoi cittadini, il pane rappresenta un terzo dell’apporto calorico giornaliero. Nel Corno d’Africa (Somalia, Etiopia, Eritrea, Gibuti: 136 milioni di persone), la spesa alimentare rappresenta il 40% della spesa totale (in Italia è il 18%). E queste regioni sono entrate nel quarto anno consecutivo di siccità. Cifre similmente preoccupanti riguardano la Tunisia, il Libano e molte altre realtà che si affacciano sul Mediterraneo. Tutto questo produrrà anche ulteriore instabilità politica e probabilmente una nuova ondata migratoria causata niente meno che dalla fame.
Non possiamo permettere che accada. L’Unione Europa ha inscritto nei propri valori e nei suoi obiettivi la promozione della pace, dello sviluppo dei popoli, della dignità umana. Ha un obbligo morale, oltre che un dovere storico (e le capacità economiche) per affrontare questa crisi. Non possiamo lasciare che milioni di persone muoiano di fame per l’ennesima guerra europea. Una guerra che non abbiamo scatenato, che non abbiamo provocato, ma sulla cui reazione non si può pretendere solidarietà senza reciprocità. Non possiamo affrontare il problema soltanto quando diventerà ingestibile, quando milioni di persone saranno costrette a lasciare le proprie case. E quando, tra queste, molte cercheranno riparo in Europa.
La soluzione non può che essere multilaterale e l’Unione Europea può e deve farsi protagonista di questa scossa. Sono già troppi i paesi che stanno adottando scelte solitarie, in particolare le restrizioni alle importazioni che non fanno altro che peggiorare il problema. L’obiettivo fondamentale sarà e deve essere un cessate il fuoco in Ucraina, fare in modo che dai porti del Mar Nero possano partire le navi con il grano verso il resto del mondo. Ma per quanto auspicabile, l’Unione Europea e i paesi sviluppati devono essere pronti a mobilitare risorse organizzative e finanziarie nell’eventualità non si raggiunga un accordo immediato. Non c’è molto tempo.