L’Aula del Senato ha approvato all’unanimità dei presenti, con 211 voti favorevoli, la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio sui “percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere”, che ha preso la forma di una risoluzione, atto con cui il Parlamento indirizza il governo. Il voto è stato seguito da un lungo applauso. Il documento identifica le categorie di soggetti che potrebbero aver bisogno di rieducazione, e per ciascuno di essi suggerisce possibili interventi di legge. Per primi si citano gli uomini già condannati che accettano di seguire questi percorsi, attivi però in soli 52 penitenziari su 180 complessivi: la relazione suggerisce di consentire l’accesso alla libertà condizionata solo per chi accetta di affrontare il problema. Altra categoria è quella degli uomini violenti che hanno scontato la pena e sono in stato libertà, ma ad alto rischio di recidiva; poi ci sono quelli che hanno iniziato il percorso di riabilitazione in carcere ma non l’hanno concluso, avendo finito di scontare la pena. Infine ci sono gli uomini non ancora condannati ma sottoposti a carcere preventivo: anche per loro – suggerisce la relazione – è ipotizzabile l’accesso ai domiciliari al termine del percorso di riabilitazione.

La categoria più affollata però è quella degli “uomini che sono autori di violenza ma non sono stati denunciati o rispetto ai quali non sono state ancora adottate misure restrittive“: nel loro caso “si opererebbe in autentica prevenzione del reato, piuttosto che nella sua punizione o correzione postuma”. Per affrontare questa molteplicità di situazioni, la Commissione propone di potenziare i “centri per il trattamento degli uomini maltrattanti” che tuttavia sono pochi e ancora non disciplinati o accreditati secondo linee guida nazionali, senza parlare degli scarsi finanziamenti finora messi in campo (appena otto milioni nell’ultima legge di Bilancio). “I centri per la rieducazione degli uomini autori di violenza, svolto in rete con i centri antiviolenza, con le forze dell’ordine, con i servizi pubblici, gli enti istituzionali e la magistratura, costituiscono un servizio di interesse pubblico e come tale deve essere finanziato con risorse pubbliche”, sottolinea la relazione. Che conclude sollecitando la rapida approvazione di due disegni di legge, già incardinati in Senato, che contengono nel dettaglio le norme da aggiungere a quelle esistenti, da far poi confluire in un testo unico.

“Questa relazione rappresenta un passo fondamentale verso un cambio di prospettiva culturale sul tema della violenza contro le donne”, ha detto in Aula la senatrice M5S Alessandra Maiorino, relatrice del documento insieme a Donatella Conzatti di Italia Viva. “La convenzione di Istanbul – ha spiegato – individua nell’attuazione di percorsi di rieducazione degli uomini violenti uno degli interventi fondamentali nella prevenzione della violenza di genere. Nonostante questa previsione, l’istituzione di tali percorsi in Italia è rimasta inattuata, a parte lodevoli realtà sorte spontaneamente grazie all’impegno di professionisti e volontari. La violenza di genere affonda le sue radici in una cultura condivisa e in modelli relazionali basati sulla subordinazione, sulla disparità di potere e su una pervicace distinzione di ruoli tra i sessi. Non è sufficiente intervenire con il pur doveroso supporto alle vittime e con la repressione dei colpevoli, è necessario agire sui comportamenti degli autori di violenza e non solo a posteriori, quando cioè la violenza è compiuta, ma prima che si inneschi la nota spirale di violenza che conduce ancora troppo spesso ad esiti tragici e fatali. Cambiare i comportamenti del maltrattante può e spesso significa salvare non solo la vittima del momento, ma le potenziali future, oltre ad essere un valido strumento per evitare che i minori presenti assorbano la violenza vissuta in famiglia e la perpetuino a loro volta da adulti”.

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