Oltrepassata l’area di massima sicurezza che delimita l’accesso alla base si sentono i colpi dei mitragliatori che fischiano tra gli alberi. Arrivano dai poligoni addestrativi di Camp Adazi, trenta chilometri da Riga. Qui fino al 1991 c’erano soldati, tank e fucilieri dei battaglioni dell’Unione Sovietica. Poi è stata issata la bandiera lettone e oggi ai gate d’ingresso di Adazi si incrociano canadesi, spagnoli, italiani, statunitensi. Da cinque anni a Camp Adazi la Nato addestra il suo “Battlegroup”, è una delle quattro basi dove l’Alleanza Atlantica ha sviluppato e continua a rafforzare il suo “fianco orientale”, diventato nelle ultime settimane il confine che separa Ucraina, Bielorussia e Russia dai 30 Paesi Nato pronti a entrare in guerra se solo un colpo d’artiglieria russo dovesse cadere oltre. Sul fianco orientale, si legge sulla nota delle missioni Enhanced Forward Presence della Alleanza Atlantica, “prima della illegale e illegittima annessione russa delle Crimea del 2014, la Nato non aveva piani per schierare truppe da combattimento”.
“La Nato sa che c’è bisogno di rafforzare quest’area”, racconta dal suo ufficio a Camp Adazi il comandante spagnolo Vico Ibanez, Deputy Commanding Officer del Efp Battlegroup in Lettonia. Da qui la Russia è distante meno di 300 chilometri, il confine tra i due Paesi si estende su 200 chilometri. “Nell’ultimo mese abbiamo quasi raddoppiato il nostro personale Nato qui – aggiunge Ibanez – per dimostrare e assicurare che la Nato è a fianco di tutti i suoi Paesi membri”. I militari schierati dalla Nato in Lettonia sono circa 1.700, il battaglione – a guida canadese – è formato da soldati e mezzi di dieci diversi eserciti. Insieme al Canada ci sono militari e veicoli di Spagna, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Albania, Slovenia, Islanda, Montenegro e Italia. “Il contingente italiano è di poco più di 200 persone ed è schierato qui dal 2017”, racconta dai boschi di Adazi il tenente colonnello Claudio Blardone, al comando del contingente italiano schierato a Baltic Guardian.
La missione degli italiani – alla decima rotazione in Lettonia – segue le “misure di rassicurazione che la Nato negli anni ha deciso si implementare sul fianco est dell’Alleanza”, racconta Blardone. Intorno a lui una squadra di alpini – a Riga la maggior parte dei soldati italiani impegnati vengono dalla Brigata Alpina Taurinense unità del 2° Reggimento Alpini di Cuneo – effettua un addestramento tattico insieme a un cingolato BV2067S7 e un blindato Lince. In lontananza si sentono gli spari, il poligono si estende per 64 chilometri quadrati e l’attività addestrativa tra esercito lettone e forze Nato – spiegano – è continua. Di Russia non vuole parlare nessuno esplicitamente. L’addestramento segue calendari prefissati che vanno avanti di settimana in settimana, si sviluppa l’interoperabilità e la capacità di essere pronti a combattere di giorno, di notte, in qualsiasi condizione atmosferica. “Continueremo l’addestramento come pianificato”, dice il tenente colonnello Blardone. E il vice comandante Vico assicura che l’invasione dell’Ucraina non ha cambiato la loro routine qui: “Ci prepariamo ogni giorno a sviluppare deterrenza”. L’articolo 5, quello che regola la possibilità di intervento difensivo dei Paesi alleati in caso di attacco sul suolo di un membro Nato, è “una possibilità, ma noi ci prepariamo ogni giorno per qualsiasi possibilità, abbiamo una ampia serie di attività da coprire con il Battlegroup”.
Dell’articolo 5 ha parlato anche il segretario della Nato Jens Stoltenberg, arrivato l’8 marzo in visita ad Adazi, quando sull’Ucraina arrivavano missili russi da due settimane. “La nostra presenza qui in Lettonia manda un inequivocabile messaggio di unità e risolutezza: il nostro impegno nei confronti dell’articolo 5 è assoluto”, ha detto Stoltenberg aggiungendo che “proteggeremo ogni centimetro della Lettonia”. Due settimane dopo è arrivata la decisione di raddoppiare il numero di Battlegroup proprio sul fianco est, al confine con la Russia. Diventano otto: oltre ai tre Paesi Baltici e alla Polonia, truppe pronte al combattimento saranno addestrate in Romania, Slovacchia, Slovenia e in Bulgaria. “Adesso con i Battlegroup arriviamo dal Baltico al Mar Nero”, ha sintetizzato Stoltenberg. In attesa di nuovi annunci, i militari schierati sul Fianco Est dalla Nato sono diventati 40mila.
E se ad Adazi l’addestramento è continuo, a Riga passato e presente si intrecciano su diversi livelli. In pieno centro l’ex sede del KGB oggi è un museo con tanto di visite guidate in lingua inglese per entrare – letteralmente – nelle celle utilizzate negli anni ’40 dalla polizia segreta – la Čeka – per rinchiudere e uccidere dissidenti, giornalisti, militari. Per le strade le bandiere ucraine sono su autobus, coccarde, manifesti e accanto a qualsiasi bandiera lettone in giro per gli edifici della città. Sventola ovunque anche la stella della Nato, e proprio il 29 marzo in città hanno festeggiato i 18 anni dall’ingresso del Paese nell’Alleanza. Nello stesso anno – era il 2004 – è arrivato l’ingresso nell’Unione Europea. Poco lontano dalla città vecchia, il monumento alla libertà svetta per 38 metri. Da qui il 23 agosto 1989 è passata la Baltic Way, la catena umana che ha unito Estonia, Lettonia e Lituania, con due milioni di persone mano nella mano per 700 chilometri – da Vilnius a Tallin – per chiedere l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Sotto la statua di Milda – come la conoscono tutti a Riga – sono passati nazisti e sovietici, l’indipendenza del Paese è arrivata nel settembre del 1991. Sotto questa statua, oggi è piantonata da due guardie lettoni, il 6 luglio del 1994 l’allora presidente Usa Bill Clinton ha promesso: “Il legame che tiene insieme le nostre nazioni è indistruttibile”.
Alla fine del viale verso Kalpaka bulvāris un cartello con un soldato in mimetica armato di mitra recita “Kļūsti par zemessargu”, un invito a diventare “una land guard”. E sotto si legge uno slogan: “Sii pronto, diventa uno di noi” . C’è il simbolo della Guardia Nazionale lettone, l’esercito di riservisti istituito nell’anno dell’indipendenza dall’Unione Sovietica. Il quartier generale è poco distante. Anche qui all’ingresso sventola la bandiera blu e bianca con la rosa dei venti, il simbolo della Nato. “Siamo molto grati ai nostri alleati, della loro presenza qui, questa è una presenza simbolica che mostra ai nostri possibili avversari che siamo protetti dall’articolo 5”, racconta il brigadier generale Egils Leščinskis, comandante della Guardia Nazionale Lettone. Da quando è scoppiata la guerra – il comandante Leščinskis la chiama “la seconda invasione” – qui i telefoni non smettono di squillare. Per smistare le application online c’è da lavorare senza sosta. In un mese “abbiamo avuto più di 2.000 richieste di arruolamento, se lo mettiamo a confronto con il numero delle nostre forze attive – che sono 8.000 – questo è un significativo incremento”, racconta. “Le persone fanno domande, si informano su quanto tempo ci vuole per l’addestramento, c’è molto interesse”, continua. Tra le fila della Guardia Nazionale ci sono veterinari, medici, persone che hanno la loro vita privata, e “spendono il loro tempo libero nell’addestramento e in caso di guerra o crisi sono pronti a difendere il loro Paese”, commenta il generale. Dal suo punto di vista la minaccia “è reale sin dalla caduta dell’Unione Sovietica” perché la Russia “ha sempre mostrato le sue mire imperialiste, c’è sempre stata una sensazione di minaccia dal nostro fianco est”. Nelle ultime settimane questa percezione è cambiata, però. Racconta che “se potevamo aspettarci qualcosa del genere da parte della Russia, non potevamo aspettarci queste atrocità che sono state condotte dalle forze russe in Ucraina”.
E sulle cartine l’allerta non è soltanto rivolta a est. “La minaccia non è più soltanto teorica, cambia molto essere un paese confinante con la Russia e anche con la Bielorussia che non possiamo più considerare un Paese indipendente”. E la questione ha radici interne profonde, storiche e non solo geografiche. Nel Paese ci sono più di mezzo milione di lettoni russi, un quarto dell’intera popolazione. A Rīga, Daugavpils e Rēzekne la lingua russa è parlata quasi da tutti gli abitanti. Nelle ultime settimane le azioni a livello politico hanno dato un segnale chiaro alla Russia di Vladimir Putin, l’allineamento alla Nato è totale. Consolati chiusi nel Paese, diplomatici espulsi, lista di persone “non gradite” che si allunga di settimana in settimana. Incontri insieme ai ministri degli Esteri di Estonia, Lituania e Polonia per discutere di cooperazione, l’ultimo a Riga il 29 aprile. E la decisione di far passare una legge per rendere il 9 maggio – data in cui la Russia celebra la vittoria della Seconda Guerra Mondiale – la giornata dedicata alle vittime della guerra in Ucraina. Nessun evento pubblico o festività in programma, fuochi d’artificio proibiti. Perché la guerra va avanti da tre mesi e – come dice il Comandante Leščinskis – non è lontana da qui. Anzi: “È molto vicina”.