Adesso manca solo il decreto del presidente del Brasile Jair Bolsonaro. L’estradizione del boss della ‘Ndrangheta Rocco Morabito è sempre più vicina. Il narcotrafficante calabrese sarà estradato in Italia. Lo ha deciso la prima sezione della Corte suprema federale (Stf) del Brasile che ha rigettato, all’unanimità, il ricorso degli avvocati di Morabito secondo cui ci sarebbero state alcune illegalità nelle procedure. È stata così confermata, quindi, l’autorizzazione all’estradizione chiesta dal ministro della Giustizia italiano sulla base di un mandato di cattura emesso dalla Procura generale di Reggio Calabria che è responsabile per l’esecuzione delle condanne comminate al narcotrafficante considerato, fino al suo arresto, il secondo latitante più ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro.
Morabito deve scontare un cumulo di 30 anni di carcere per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Nel 2000 era stato condannato, infatti, a 22 anni dalla Corte d’Appello di Palermo. L’anno successivo, nel 2001, la Corte d’Appello di Milano gli ha inflitto 30 anni di reclusione. Quattro anni più tardi, nel 2005, altri 10 anni di carcere li ha ordinati la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Nel maggio dello scorso anno il superboss della ‘ndrangheta Rocco Morabito è stato arrestato in un albergo in Brasile. A catturarlo erano stati i carabinieri dei Ros e la polizia brasiliana con il coordinamento del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Giuseppe Lombardo. Considerato il più importante broker di stupefacenti per i cartelli del narcotraffico sudamericano, era evaso il 24 giugno 2019, insieme ad altri tre detenuti scavando un tunnel che lo fece uscire dalla terrazza del carcere “Central” di Montevideo in Uruguay dove era stato arrestato due anni prima. Metà della sua vita è stata alla macchia: Morabito ha 56 anni molti dei quali trascorsi in latitanza: dal 1994 al 2017 e dal 2019 al 2021.
Originario di Africo, il narcotrafficante appartiene a una delle più potenti ‘ndrine della Locride. Conosciuto con il soprannome di “Tamunga”, perché da giovane scorrazzava sulle spiagge calabresi con un fuoristrada militare Auto Munga, Rocco Morabito ha un pedigree criminale che fa paura: è imparentato col più noto boss Giuseppe Morabito detto “u Tiradrittu”, suo cugino di secondo grado e con i fratelli Domenico Leo e Giovanni Morabito soprannominati gli “Scassaporte”. Gli ‘80 e i ’90 per l’ormai ex latitante sono stati gli anni d’oro. La carriera criminale di Tamunga prende avvio nel 1984 quando, all’età di soli 17 anni, viene denunciato per interruzione di pubblico servizio. Era uno dei rampolli degli “africoti” che hanno studiato all’università di Messina nei tempi in cui la ‘ndrangheta si laureava con la pistola sulla cattedra. Nel 1988, era stato arrestato dalla Procura di Messina per minacce a un docente universitario. Accusa da cui poi verrà assolto per insufficienza di prove. È tutto riportato in una vecchia nota dei carabinieri di Bologna, dove prima di darsi latitante, Morabito gestiva le quote della società Mistigrì a cui venivano intestate le auto utilizzate e le utenze degli affiliati alla cosca di Africo.
Nel 1989, suo fratello Leo Morabito è stato ucciso in un agguato mafioso e l’anno successivo Rocco è stato ferito in un altro attentato. Si era presentato presso l’ospedale di Locri perché qualcuno gli aveva sparato a una caviglia ma le indagini non riuscirono mai a individuare il responsabile. Nel settore il traffico di droga è entrato in contatto anche con gli ambienti della camorra. Non è un caso che, assieme ad altri affiliati, Rocco Morabito era stato identificato a Baia Domizia di Sessa Aurunca, all’interno dell’abitazione di Alberto Beneduce, boss e narcotrafficante camorrista conosciuto con il soprannome di “A cocaina” e trovato qualche settimana dopo carbonizzato nel bagagliaio di un’auto. Gli affari di Tamunga passavano per Milano dove la sua rete di contatti portava dritto ad Africo e alle cosche dell’Aspromonte. Si è fatto notare anche dalle autorità del Sudamerica. Nel luglio 1992, infatti, è stato arrestato dalla Polizia di Fortaleza (Brasile) per traffico di stupefacenti in concorso con altri. Rimesso in libertà, è rientrato in Calabria dove nel 1994 è stato denunciato più volte per associazione per delinquere. La sua latitanza inizia sfuggendo a due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Milano per traffico internazionale di stupefacenti. È lo stesso reato che gli contesta nel 1995 il gip di Palermo in un’altra inchiesta. In quegli anni, però, di Tamunga si erano già perse le tracce e il suo nome fino al 2017, compariva raramente negli atti delle recenti inchieste antimafia.
Non perché avesse cambiato settore. Rocco Morabito non ha mai smesso, infatti, di essere uno dei più importanti narcotrafficanti a livello mondiale, un broker della droga che, nel settembre 2000 è stato denunciato per aver fatto parte, con il ruolo di “importatore di sostanze stupefacenti poi ripartito tra le varie organizzazioni”. Un core business che fruttava milioni e milioni di euro alla famiglia mafiosa di Africo. Soldi che poi, secondo i pm della Dda di Reggio Calabria, venivano riciclati in acquisti immobiliari e attività imprenditoriali. Una vita al limite che, se il presidente Bolsonaro e le autorità del governo del Brasile firmano il decreto, è destinata a trascorrere i prossimi 30 anni in un carcere italiano.