Secondo i suoi stessi calcoli, avrebbe dovuto lasciarci sette anni fa, a 87 anni. Rinunciò a polemizzare con il buon Dio e si accomiatò così: “Tengo che sia una morte rispettabile, come l’ha avuta mio padre”. Ciriaco De Mita è il potente italiano venuto dal Sud, per un decennio – a cavallo tra il 1980 e il 1990 – anche grande rastrellatore di tessere, enorme facitore del gioco correntizio democristiano, spietato nella guerra di logoramento contro Bettino Craxi e il suo drappello socialista.
De Mita però è anche il politico più colto della sua leva, il più curioso, spigoloso, e parecchio saccente della scena nazionale. Arriva a Roma da Nusco, Irpinia profonda, figlio di un sarto. Ma ci arriva passando da Milano, studiando nelle aule della Cattolica, approfondendo il pensiero politico dei grandi leader conservatori e opponendo la superiore concezione della terzietà democristiana, l’idea che il centro dello schieramento politico sia il centro di gravità permanente del buongoverno, dell’esatta e indiscutibile propensione del suo partito a curare gli interessi dell’Italia.
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CIRIACO DE MITA, CARLO MARIA MARTINI
Segretario della Dc, coniuga il suo settennato di dominio assoluto nello scudocrociato con uno spicchio di dominio assoluto nel governo, da presidente del Consiglio. Sono gli anni in cui Avellino e la sua provincia divengono i confini geografici della Democrazia cristiana. Demitiani contro il resto del mondo, Nusco come capitale d’Italia.
Gianni Agnelli lo fulmina definendolo “intellettuale della Magna Grecia”, e destinandolo alla naturale espressione della sua linea: l’esercizio cruento e quotidiano del potere. In televisione iniziano a imitare la fonetica demitiana, (la t pronunciata d) dentro un eloquio spesso piuttosto incomprensibile. Eppure De Mita è un leader che esercita il potere dentro una grande leva culturale.
Con il terremoto dell’Irpinia, e lo scandalo che ne segue, De Mita si ritrova dentro quello stagno putrido. “Si è arricchito col terremoto”, scrive l’Unità (ne segue una sanguinosa querelle giudiziaria). Forse non lievita il suo conto in banca ma certamente il suo potere, la ramificazione degli interessi, la direzione degli investimenti. De Mita finisce quasi stritolato sotto la montagna di miliardi di lire (cinquantacinquemila) che quel sisma, terribile evento del 23 novembre 1980 fa trasportare verso la Campania e la Basilicata.
Resiste agli attacchi, al tempo. E la sua voglia di esserci è tale che chiude la carriera da sindaco del suo paese, il centro del centro del suo mondo.
Ps. Novantenne, gli feci i complimenti per la sua condizione fisica. Mi rispose: “Il mio medico personale è da sempre un pediatra. Non lo cambio”.
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