La colpa? “Del caso”. Si era reso conto di cosa stesse accadendo? “Macché, io non ho intuito niente”. Il professore Sergio Barile si difende e prova a sminuire l’accusa di essersi laureato in Fisica, pur non avendone i titoli, sfruttando un caso di omonimia. “Il diavolo c’ha messo lo zampino”, dice in un’intervista a La Repubblica. Il docente di Economia a La Sapienza, secondo l’accusa, avrebbe “sfruttato” l’iscrizione allo stesso corso di laurea di un altro Sergio Barile.
Il primo, quello rinviato a giudizio per falso ideologico, sostiene una decina di esami, per si ferma. L’altro invece prosegue negli studi. Dopo un po’ di anni, il docente di Economia viene chiamato dalla segreteria del dipartimento: lo mette al corrente del fatto che deve solo discutere la tesi. Gli amministrativi dell’università romana, confondendosi, danno il via libera alla persona sbagliata. Un errore di cui – secondo i pubblici ministeri – Barile approfitta. Pur avendo notato l’errore della macchina burocratica, il docente decide di laurearsi.
“Macché, io non ho intuito niente”, dice lui. E spiega: “Normalmente, prima della laurea, la segreteria didattica procede alla ricostruzione di carriera dello studente, dove vengono ricapitolati tutti gli esami e si fa un riscontro definitivo. Nel mio caso però, come in molti altri in quel periodo, questo procedimento amministrativo non c’è stato perché gli uffici erano in smart working per via del Covid”. Il resto lo hanno fatto le coincidenze: stesso nome, stessa data di nascita, stessa data di iscrizione. E altro ancora: “Proprio in quei mesi il cervellone della Sapienza è migrato da un sistema informatico a un altro”. Una “situazione kafkiana”, dice il professore a La Repubblica.
Dice ancora “non aver tratto profitto da questa vicenda” perché poco dopo gli è stato “comunicato che la laurea non era valida”. Resta l’essersi presentato all’esame finale? “Possiamo dire così: se ho approfittato è perché mi sono divertito a discutere quella tesi”. Al termine della quale è stato dichiarato dottore in Fisica con 104/110. “E naturalmente con una tesi brillante”, rivendica. Poi la querela dell’ateneo, che si è anche costituita parte civile: “L’università mi dice: tu non potevi non sapere. E invece sono stati loro a dirmi come avrei potuto risolvere la questione, pagando anche le tasse arretrate”.