Neanche il tempo di allontanarsi da una pandemia che già lo spettro di altre zoonosi incombe su scala globale. Sono oltre cento i casi confermati o sospetti di vaiolo delle scimmie, parente meno letale del vaiolo, che sono stati rilevati nelle ultime due settimane al di fuori dell’Africa. L’emergere del virus in popolazioni diverse e geograficamente distanti tra di loro, in luoghi dove di solito non appare, ha allarmato gli scienziati.
Quanto rischia l’uomo? Siamo di fronte a una nuova pandemia?
Il virus è stato rilevato per la prima volta nelle scimmie a fine anni Cinquanta, ma si pensa si trasmetta all’uomo da animali selvatici come i roditori o da altre persone infette. Fino ad oggi, si sono verificate poche migliaia di casi ogni anno e tutti nella parte centro-occidentale dell’Africa. I pochi casi segnalati in altre parti del mondo erano quasi sempre associati a viaggi o importazione di animali infetti da ‘aree a rischio’. Ora invece, i casi rilevati al di fuori dell’Africa hanno già superato il numero totale di quelli riscontrati al di fuori del continente dal 1970, ovvero quando per la prima volta è stata descritta l’infezione anche nell’uomo.
Questa rapida e inattesa diffusione ha messo tutti in allerta.
Da quando la campagna di eradicazione tramite vaccinazione per il vaiolo si è conclusa con successo negli anni Settanta, il vaiolo non era più una minaccia globale e per molto tempo non si è più pensato a questo virus o a quelli strettamente correlati. Da allora ci sono stati sporadici focolai in Congo, Nigeria e nel 2003 negli Stati Uniti, quando alcuni roditori importati dal Ghana infettarono una settantina di persone. Ma, prima di creare una nuova ondata di allarmismo, va ricordato che il vaiolo delle scimmie non è il SARS-CoV-2, non si trasmette facilmente da persona a persona (e questo ne rallenta la diffusione) e, poiché è correlato al vecchio e noto virus del vaiolo, sono già a disposizione sia vaccini che trattamenti molto efficaci. Quindi, è giusto attivare una corretta sorveglianza epidemiologica, ma niente panico!
Sappiamo ad esempio che il vaiolo delle scimmie si diffonde grazie al contatto con i fluidi corporei, come la saliva, e che una persona infetta probabilmente contagia molto meno rispetto a quanto riesca a fare SARS-CoV-2. Entrambi i virus possono causare sintomi simil-influenzali, ma il vaiolo delle scimmie provoca anche ingrossamento dei linfonodi e caratteristiche lesioni su viso, mani e piedi.
I dati preliminari (da pochi giorni i ricercatori hanno sequenziato l’intero genoma del virus) confermano che il ceppo trovato in Portogallo è correlato a uno diffuso prevalentemente in Africa Occidentale, che è responsabile di infezioni più lievi e di un tasso di mortalità più basso (circa 1-3%). Alcune domande però rimangono irrisolte e avranno bisogno di settimane per trovare risposta: l’improvviso aumento dei casi deriva da una mutazione che consente una più rapida diffusione rispetto al passato? I casi nel mondo risalgono allo stesso focolaio? E come mai i casi includono uomini di età compresa quasi esclusivamente tra i 20 e i 50 anni?
Per saperne di più, occorre del tempo.
Una notizia a nostro favore però è data dalle caratteristiche del virus stesso. A differenza del SARS-CoV-2, virus a rna capace di produrre in poco tempo numerose varianti in grado di eludere le infezioni precedenti, il vaiolo delle scimmie è prodotto da un virus a dna relativamente grande. E i virus a DNA sono più bravi a riparare le proprie mutazioni rispetto ai virus a rna, per cui la ricombinazione genetica a cui vanno incontro è meno rapida e meno capace di selezionare varianti. Altra notizia positiva è data dal fatto che, a differenza di SARS-CoV-2, il vaiolo delle scimmie è più facile da rintracciare perché non si diffonde in maniera asintomatica, ma anzi provoca lesioni cutanee che difficilmente passerebbero inosservate.
Da quanto sappiamo al momento, gli attuali focolai probabilmente non richiederanno particolari strategie di contenimento, quali la vaccinazione, perché anche nelle aree in cui il vaiolo delle scimmie si verifica più di frequente, essa rimane ancora un’infezione rara. Ma, come sempre in questi casi, solo il lavoro di tracciamento e di sequenziamento dei nuovi casi aiuterà a capire l’evoluzione del virus, l’andamento dell’infezione e la presenza di mutazioni potenzialmente pericolose per l’uomo. Niente panico quindi, ma occhi aperti.