Sereno, sorridente, in pace con sé stesso più che mai. Incontriamo Biagio Antonacci al terrazzo della sua casa discografica Sony per parlare non solo del suo nuovo singolo “Seria”, candidato già a tormentone estivo, ma per tracciare un bilancio delle sua vita totalmente cambiata in questi due anni e mezzo di pandemia. Con la compagna Paola ha avuto Carlo, nato il 20 dicembre 2021. Il terzo figlio dopo il cantautore Paolo, che ora ha 26 anni, e dello speaker di Radio Zeta Giovanni, che ne ha 20. A loro si aggiunge la figlia di Paola, Benedetta.
Una guerra in corso, la pandemia, l’incertezza economica. Hai fatto un figlio lo stesso. È stato un atto di coraggio?
Più che atto di coraggio direi fatalità.
Ce lo spieghi?
Con la mia compagna abbiamo provato per tre-quattro anni ad avere un figlio. Senza risultati. Mi sono sempre detto: ‘ Se viene bene, ma decide sempre dio da lassù’. Poi durante il lockdown ci siamo trasferiti in campagna.
Cosa è successo?
Abbiamo preso un cane. Sai che è vero che i cani rilassano? Comunque ci siamo ritrovati in una dimensione più tranquilla, dove tutto è più semplice, ho piantato ulivi, lavorato l’orto, ricavato l’olio buono e un giorno ho sentito Paola urlare: ‘Biagio il test è positivo!’.
Reazione?
Ero incredulo, ho detto: ‘No Paola mi spiace che hai preso il Covid!’ (ride; ndr). E non era il Covid per fortuna. Così è nato Carlo, un regalo di Dio.
Non hai paura che cresca in uno dei momenti più difficili che il mondo sta attraversando?
So benissimo che fare un figlio oggi è un lusso per come è impostata questa società e per come la politica si muove. Bisognerebbe dovrebbe favorire la crescita e la tutela dei bambini. Le famiglie devono poter usufruire dei servizi sociali. Ci sono famiglie che non possono permettere l’asilo e le superiori, per non parlare dell’Università. Il genere umano se va avanti così è destinato all’estinzione.
Perché?
Non investiamo nel futuro, in una politica giusta e sociale… Poi c’è anche la guerra.
Dopo quasi tre anni torni con il nuovo singolo “Seria”. Come mai hai scelto questo brano?
Mi piaceva il suono della parola ‘seria’ e poi parla dell’amore più autentico. Del rispetto verso l’altro. Siamo corresponsabili in una storia e se iniziamo una convivenza dobbiamo non solo essere rispettosi ma anche uguali.
E se si rompe l’equilibrio?
Bisogna assumersi la responsabilità. Quando le cose non vanno bene chi paga? Non paga nessuno. Si esce sempre sconfitti. È quello che ho imparato, studiando l’amore con le mia canzoni.
Qual è lo stato della musica italiana oggi?
Si è verificato uno tsunami che ha cambiato le proporzioni tra gli ascolti streaming e i dischi fisici. Ormai è tutto così veloce e in poco tempo si può essere ascoltati ovunque in tutto il mondo. Magari avessi avuto anche io questa opportunità quando ho iniziato!
I cantautori sono in via di estinzione?
Assolutamente no. I cantautori sono ancora tra noi ma hanno un linguaggio diverso.
Chi ti piace?
Giorgio Poi, Calcutta e Motta. Quest’ultimo l’ho visto alla presentazione del libro e quando si è messo a suonare la chitarra e cantare, mi ha ricordato me 20 anni fa.
E dei rapper?
Marracash ha un linguaggio fortissimo ed è capace di descrivere alla meraviglia il tormento interiore. Madame anche ha un uso della scrittura notevolissimo mentre alla produzione mi viene da citare Tha Supreme.
Come spieghi il successo del brano vincitore di Sanremo, “Brividi”?
Quando ho visto cantare insieme Mahmood e Blanco, all’apice della loro potenzialità, su quel palco ho subito pensato che avrebbero vinto. Mi erano venuti, appunti, i brividi. Non poteva non vincere quella canzone perché ha colpito gli anziani, i bambini, padri, madre… Una canzone che ha unito tutti.
A proposito di Blanco cosa ne pensi della molestia che ha ricevuto durante un concerto?
Premesso che ognuno ha la sua sensibilità però non ci ho visto nulla di strano. Quando sei sul palco succede anche quello.
È successo anche a te?
Certo. Mi toccavano il sedere e mi sentivo anche una rockstar. Ma erano altri tempi.
Il tuo disco uscirà entro l’anno. Ti piacerebbe lavorare con giovani autori?
Sì. Tra l’altro ho anche ascoltato tantissima musica in questi anni. Mi ha colpito molto Bianconi. Ho ascoltato tutti i dischi dei Baustelle. Hanno scritto cose bellissime che ti si appiccicano addosso.
Partirai in tour nei palazzetti il 5 di novembre. Il mese di concerti al Teatro Carcano di Milano, previsto prima della pandemia, è naufragato?
Mi è dispiaciuto tantissimo e spero di poterlo fare in un altro momento. Avevo previsto un mese di attività in un teatro che sarebbe stato a mia completa disposizione. Oltre alla musica mi sarebbe piaciuto fare delle mostre, degli incontri, parlare con le persone… Speriamo non mi rubino l’idea.
Paura di tornare live dopo tanto tempo?
Sono sceso dal palco ad agosto 2019 con Laura Pausini, avevamo fatto il tour negli stadi assieme, e non ci sono più salito. Prima vivevo di più l’ansia da prestazione, ma oggi mi sento libero e consapevole.
Presentando il tuo ultimo album “Chiaramente visibili dallo spazio” nel 2019 avevi detto “siamo sotto controllo, abbiamo la responsabilità di fare cose belle”. Non mi sembra che sia accaduto…
Io mi stupisco come l’uomo ancora non si renda conto di quanto è ‘piccirillo’ (piccolo, ndr) davanti a tutto il resto del mondo. Io pensavo che il Covid facesse capire agli uomini quanto siamo di passaggio e quanto invece la natura sia forte e potente. Ho visto il mondo unito contro il Covid, gli aiuti e poi scoppia la guerra in Ucraina…
Perché secondo te?
Perché non abbiamo capito un ca**o. Esistono guerre in tutte le parti del mondo da anni. C’è chi usa le bombe e chi il machete. Muoiono un sacco di bambini, siamo anche disinformati. Dopo il Covid avremmo dovuto sventolare la bandiera bianca della pace ovunque, tra i confini di Ucraina e Russia dovrebbe esserci solidarietà, festa. Insomma da lassù qualcuno starà dicendo: non avete capito un ca**o.