Se un libro (qualsiasi) si apre con il testo di Le Désertur di Boris Vian, va letto subito tutto d’un fiato e, nel caso, di “Lettere da sopra la pioggia – intrecci tra musica e letteratura nella canzone italiana” (Pacini editore), va anche canticchiato e ripetuto mentalmente per almeno il resto della giornata. Certo, ce ne siamo accorti: testo (e musica di Marcel Mouloudji) di Le Désertur (“Monsieur le Président/Je vous fais une lettre/Que vous lirez peut‑être/Si vous avez le temps”) sono francesi, ma gli autori Fabrizio Bartelloni e Marco Masoni imbevuti di humus da benedetta canzone d’autore che fu ci tengono a rendere anche un po’ “nostro” l’anelito anarco-pacifista di Vian (“E dica pure ai suoi / se vengono a cercarmi / che possono spararmi / io armi non ne ho”) per attualizzare ed introdurre un saggio che parla proprio di una delle più grandi fughe in avanti di libertà creativa e compositiva del mondo della musica: il cantautorato italiano post anni Cinquanta. E ancora meglio: “Alcuni dei momenti più significativi e originali dell’articolata dialettica tra musica italiana e letteratura”. Già, proprio quell’incastro magico, nascosto ed eterno tra il verso musicale e letterario. Ma andiamo al sodo.
Prendiamo un esempio a caso, sottile e profondo, che vi sorprenderà. Il signor G, Giorgio Gaber, e Giacomo Leopardi. Nella fattispecie il brano Quando è moda è moda (da Polli di allevamento, doppio album, 1978) e dalle Operette Morali del poeta recanatese Dialogo della Moda e della Morte (1824). Il legame è concettualmente solido e diretto, entrambe le opere sono catalogate come minori, ma l’impeto morale intimamente libertario appare incredibilmente identico. Ricordiamo tra l’altro che per Gaber, e Luporini, quell’album, e il testo di quella canzone, sono la summa del loro distanziarsi politicamente dall’omologazione dei movimenti del ’77. Prendiamo Franco Battiato che dalle tracce e dalle scintille dell’arte letteraria (e non solo) che gli gravitava attorno ne ha subito fascino e ispirazione. Il musicista catanese appare in ben due dei 27 capitoli del libro. Nel primo più psichedelico e sperimentale ci sono l’album Fetus (1972) e Brave New World di Huxley (romanzo del ’32); nel secondo il riferimento è ancor più specifico e singolare dall’album del 2004 Dieci stratagemmi, il brano Fortezza Bastiani che punta diretto all’immortale racconto di Dino Buzzati del 1940, Il deserto dei tartari. Per Huxley, Bartelloni e Masoni vanno a ripescare da un’intervista del sommo Franco una citazione d’essai: “Ero affascinato dalla biologia, da Il mondo nuovo di Huxley, da una trasmissione TV chiamata ‘Destinazione uomo’… cominciai a pensare che ci doveva essere una musica che fosse il corrispettivo letterario di ciò che mi interessava”.
Per Buzzati invece il ragionamento fila così: “Come suo costume, tuttavia, il cantautore siciliano, con la complicità del coautore Manlio Sgalambro s’appropria di un titolo, e di un’opera, altrui per farli propri e, come era già successo con il Re del Mondo di René Guénon, reinterpreta e ridefinisce la valenza simbolica del non‑luogo immaginato dall’autore del romanzo, eleggendolo a scenografia delle sue riflessioni sulla difficile arte dell’esistenza, e sui modi, o appunto gli stratagemmi, per praticarla e per sopravviverle”. Attenzione, però, la fusione simbiotica letteratura musica, i suoi controluce, i suoi sensi impossibili e inversi, non si fermano agli anni settanta/ottanta, ai classici Guccini, Vecchioni, De Gregori, ma finiscono anche tra i versi di Caparezza ed Elio e le storie tese (per sapere l’incrocio degli EELST con la letteratura si compra il libro, ovviamente no spoiler), di Paolo Conte e Vinicio Capossela. “Non un trattato ma un assaggio” scrivono gli autori in prefazione. Appunto assaggio gustoso, stuzzicante, che appaga i palati soprattutto quelli un filo più esigenti. Comunque, una chicca da cogliere al volo.