La guerra scatenata in Ucraina da Putin – anche a seguito dell’espansione della Nato verso Est e delle manovre Usa che portarono otto anni fa al rovesciamento di Yanukovich – determina ogni giorno effetti negativi e si sta rivelando un vero e proprio vaso di Pandora, spargendo su tutto il globo effetti deleteri e mettendo a nudo ogni giorno la tragicomica inadeguatezza della classe dirigente dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente. Mentre Kissinger, il 99enne stratega (che pure a suo tempo non fu meno criminale di altri leader passati e presenti), ha chiarito con un’esemplare lucidità quali siano le problematiche al fondo della crisi attuale, i destini del mondo sono in mano a personaggi molto meno lucidi, da Joe Biden che, alla ricerca di improbabili risalite elettorali, non contento della guerra in essere, provoca la Cina a proposito di Taiwan, a Boris Johnson, il quale vaneggia su possibili interventi militari “umanitari” per “liberare il grano ucraino”, salvo smentirsi quasi subito. Ma non abbastanza rapidamente da impedire a Enrico Letta di rilanciare la geniale idea. Per non parlare di Ursula von der Leyen, degna rappresentante di quest’Europa senza identità e senza anima, che continua irresponsabilmente ad aizzare gli ucraini verso un’irraggiungibile vittoria e probabilmente è d’accordo colla Clinton nel ritenere utile una guerra prolungata che faccia dell’Ucraina un nuovo Afghanistan. Nel frattempo la sua vice, signora Vesthager, ci avvisa che dobbiamo rassegnarci all’aumento dei prezzi. Tanto i salari, almeno in Italia, sono bloccati da tempo.
Von der Leyen e Vesthager esprimono a meraviglia la quintessenza del “pensiero” europeo, liberismo in economia e atlantismo in politica estera. L’appello al rovesciamento di Putin fa parte di questo quadro catastrofico e contribuisce ad offuscare ogni possibile via d’uscita negoziata dal conflitto. Non già perché Putin non meriti di essere rovesciato, ma perché la decisione in merito non spetta certo a von der Leyen & C. ma al popolo russo. Del resto gli effetti di questa politica dissennata della Nato sono un evidente rafforzamento della posizione di Putin sul piano interno, ben testimoniata dal riallineamento totale sulle sue posizioni del Partito comunista, il quale fino a pochi mesi fa protestava giustamente per la repressione e i brogli elettorali di cui era vittima.
L’allargamento della Nato verso Est colla paventata entrata di Svezia e Finlandia costituisce un altro passo verso la destabilizzazione della pace mondiale, messa in pericolo e non garantita dai patti militari, a cominciare dalla Nato. Il furbo dittatore turco Erdogan sta mercanteggiando sull’allargamento, tentando di scambiare il suo indispensabile voto favorevole coll’acquisizione di nuove armi, che gli servono soprattutto a combattere le forze kurde in Iraq e in Siria, e colla pelle degli stessi rifugiati kurdi nei Paesi scandinavi menzionati.
E’ noto a tutti come le forze kurde, promuovendo un modello politico e sociale basato sull’autogoverno e la garanzia dei diritti individuali e collettivi, abbiano costituito il solo vero argine al dilagare dell’Isis e di altre forze fondamentaliste nella regione mediorientale. Ed è anche noto, checché se ne dica, che il regime turco di Erdogan si sia avvalso di tali forze fondamentaliste e continui ad avvalersene anche e soprattutto in funzione antikurda.
La Turchia, per un periodo non breve, ha costituito la retrovia operativa dell’Isis e degli altri fondamentalisti, consentendo il passaggio ai foreign fighters provenienti dall’Europa, rifornendoli di armi ed esplosivi e provvedendo anche a curare i combattenti feriti. Gli attentati rivendicati dall’Isis in Turchia, a cominciare da quello al comizio conclusivo del partito HDP a Dyarbakir di cui sono stato testimone diretto, sono stati rivolti anzitutto contro i Kurdi e le forze turche che cercavano la pace interna, il che fa sorgere forti dubbi sulla possibile infiltrazione degli apparati di Stato nelle stragi. E’ infine noto che gli Stati Uniti hanno scaricato i Kurdi dopo la sconfitta dell’Isis, lasciandoli in balia dei bombardamenti turchi che continuano ancora ora (una manifestazione nazionale al riguardo è prevista il 4 giugno a Roma).
Proprio la vicenda dei Kurdi, che resistono ai massacri di Erdogan, ci dimostra che la strada da percorrere è quella della democrazia e dell’autodeterminazione, valida per il Medio Oriente come per l’Ucraina e il Donbass, regione decisiva nel cuore del conflitto in atto, il cui popolo deve poter decidere il suo destino. Questa vicenda ci dimostra anche come la lotta ai blocchi militari debba sempre più essere parte integrante di quella dei popoli in difesa dei loro diritti sacri ed inviolabili.