Economia

Delega fiscale, l’intesa di maggioranza è zoppa: Leu non vota l’articolo sulla tassazione delle rendite. “Cristallizza le ingiustizie”

Nel testo iniziale era prevista un'unica aliquota proporzionale sui redditi da capitale, compresi i proventi da canoni di affitto e gli interessi sui titoli di Stato. Poi Lega e Fi hanno alzato le barricate, chiedendo e ottenendo dal governo una marcia indietro che conferma lo status quo. La sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra: "A parità di reddito si deve pagare la stessa imposta, non importa se si tratti di reddito da lavoro dipendente, autonomo, di pensione o da capitali. Questo principio è tradito". Critica anche la Uil 

Dopo il mezzo accordo sul ddl concorrenza, con il nodo degli indennizzi ai balneari agilmente rinviato ai decreti attuativi, giovedì la maggioranza ha fatto sapere di aver trovato l’intesa pure sulla delega fiscale ferma da più di sette mesi in commissione Finanze alla Camera e attesa in aula il 20 giugno. “Le forze di maggioranza si sono impegnate a fare in modo che l’iter sia rapido in entrambi i rami del Parlamento”, ha fatto sapere Palazzo Chigi, aggiungendo che erano state risolte le divergenze su revisione del catasto (su cui il centrodestra ha incassato una vittoria di facciata), disciplina dei regimi di tassazione del risparmio, revisione dell’Irpef e delle deduzioni e detrazioni fiscali. Nemmeno 24 ore dopo, però, arrivano nuovi scricchiolii. Leu non voterà l‘articolo 2, quello che nella prima versione disponeva l’approdo a un modello di tassazione “duale in cui i proventi da lavoro sono tassati in maniera progressiva (in base agli scaglioni Irpef) mentre a quelli che derivano dalla messa a frutto del capitale viene applicata un’unica aliquota proporzionale.

Quel passaggio della riforma – che non è tra gli obiettivi del Pnrr in senso stretto ma figura tra quelle “di accompagnamento” – era previsto nero su bianco nel documento delle Commissioni Finanze di Camera e Senato approvato la scorsa estate anche dalla Lega. Che però in aprile ha “scoperto” il rischio che le attuali cedolari come quella al 21% sugli introiti da locazioni o l’aliquota agevolata al 12,5% sui proventi da titoli di Stato e buoni postali venissero equiparate all’aliquota in vigore per dividendi e interessi su azioni e obbligazioni aziendali, che è al 26%. E ha puntato i piedi chiedendo che tutto rimanesse come prima. Richiesta accolta, e addio al riordino del sistema: molte rendite continueranno ad esser tassate meno degli stipendi.

Leu non ci sta: “L’accordo raggiunto ieri è una base di partenza per la discussione” per governo e Parlamento, ha spiegato la sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra. “Ma ha fatto anche emergere le forti differenze che attraversano questa maggioranza. Ciò è particolarmente vero con riferimento all’articolo 2 sulla tassazione personale del reddito che, dopo l’ultimo compromesso voluto dal centrodestra, conferma di fatto lo status quo, cristallizzando tutte le ingiustizie che caratterizzano il nostro sistema fiscale. Su questo articolo Leu non può dare e non darà il suo assenso”. “Non possiamo sostenere una soluzione che conferma un impianto iniquo”, conferma Stefano Fassina, deputato di Leu. Quale sia il problema è presto detto: in nome dell’equità orizzontale “a parità di reddito si deve pagare la stessa imposta, non importa se si tratti di reddito da lavoro dipendente, autonomo, di pensione o di redditi di capitali. Questo principio è però tradito dalla attuale formulazione dell’articolo 2″. Non proprio un dettaglio, in un quadro in cui “la progressività colpisce ormai solo i redditi di dipendenti e pensionati, come ci confermano gli ultimi dati sulle dichiarazioni 2021 pubblicati dal Mef”.

Che cosa dicono quei dati? “Che l’85% di chi paga l’Irpef è costituito da lavoratori dipendenti e pensionati”, una quota stabile da diversi anni, “a conferma che ormai questa imposta è in capo solo a questi soggetti”, ricorda in una nota Domenico Proietti, segretario confederale della Uil. Secondo il sindacato “le scelte del governo sulla delega fiscale non rispondono all’esigenza di una riforma equa e giusta. È fondamentale che si affronti il nodo ineludibile dell’evasione fiscale attraverso una svolta epocale di contrasto per recuperare gli oltre 100 miliardi evasi ogni anno”. Un passo avanti si potrebbe fare se arriverà il sospirato via libera definitivo del Garante Privacy al decreto che regola l’utilizzo delle informazioni contenute nell’archivio dei rapporti finanziari e nelle altre banche dati a disposizione delle Entrate per individuare i contribuenti da sottoporre a controlli in quanto presentano “sintomi” di scarsa fedeltà tributaria. Il Recovery Plan prevede che entro fine giugno siano approvate le disposizioni necessarie per completare la “pseudonimizzazione” dei dati (si tratta di renderli non direttamente attribuibili a una determinata persona fino al termine dell’analisi) e sia creata l’infrastruttura digitale necessaria. Il tempo stringe.