di Simone
Nel 2017 Il Fatto si era già occupato dei molti studenti italiani che, per coronare il loro sogno di diventare medico o altra professione sanitaria, si iscrivono alla Università Cattolica di Tirana. Una scelta che a detta degli intervistati era dovuta alla tipologia e difficoltà dei test che vengono somministrati al fine di comporre le graduatorie di ammissione alle suddette facoltà (tra cui Medicina, Farmacia ed Odontoiatria).
Tale opportunità faceva in modo che chi avesse scelto l’Università balcanica per gli studi avrebbe visto poi riconosciuto il percorso di studi e il titolo conseguito sia in Italia sia in Europa, grazie alle convenzioni stipulate tra le altre con le Università di Bari e di Roma Tor Vergata.
Fin qui nulla di eccepire. Fatto salvo che lo stipendio medio in Albania è di circa 450 € e che moltissimi tra gli studenti sarebbero poi tornati in Europa per garantirsi uno stipendio congruo.
La dinamica quindi è chiara: studio in Albania e poi mi ritrasferisco in Europa per avere uno stipendio che consenta un certo reddito, sicuramente non quello albanese.
Ma cosa succede se sono i laureati albanesi in Medicina, Farmacia e così via che si spostano in Europa finiti gli studi?
Come detto il reddito medio in Albania è di 450 €. Il ragionamento come la domanda scaturisce in maniera spontanea: ma se ad un laureato albanese venissero offerti 1200 € al mese per 12 ore al giorno con il costo della vita che c’è in Italia, cosa potrebbe accadere?
Proviamo a vedere le cose in questo modo: come spesso succede ad un offerta del genere raramente ci si tira indietro, soprattutto se la strategia perseguita dai molti è affittare una stanza in Italia e mandare “il grosso” della mensilità nel paese di origine. Di fatto si ha una categoria di lavoratori prestati al terzo settore e ai servizi che socialmente non conta nulla. Puro lavoro, a buon prezzo.
Tra chi si dice interessato a voler assumere, causa penuria di personale, laureati da oltre Adriatico, i farmacisti italiani. Curiosamente pochi anni fa il senatore Mandelli (Forza Italia) lamentava un surplus di laureati in farmacia – disavanzo confermato dai numeri – che di fatto avrebbe fatto crollare la domanda sul mercato creando molti disoccupati. Eppure ad oggi i titolari di farmacia annusano l’opportunità di assumere laureati provenienti dall’Albania. Come si risolve questa contraddizione?
Il sospetto che, a fronte del fallimento delle sigle sindacali nell’imporre una retribuzione dignitosa anche per i farmacisti collaboratori, i titolari di farmacia vogliano approfittare della forza lavoro proveniente da paesi il cui reddito pro capite mensile è più basso del nostro è più che legittimo.
E quindi? Quindi è necessario aumentare il reddito di cittadinanza e dargli la forza di una leva contrattuale, tale che “gli strateghi dell’impoverimento del lavoro” vengano smascherati e messi all’angolo.