La Corte Suprema statunitense riconosce i pericoli dell’emergenza climatica. Ha infatti bocciato le richieste della Louisiana e altri stati, per limitare l’azione del governo Biden a tutela dell’ambiente. La coalizione, a guida repubblicana, aveva fatto ricorso contro le nuove stime del costo economico dei danni causati dai fenomeni naturali più estremi, il così detto social cost of carbon. Si tratta dell’indicatore principale usato dalle agenzie federali per scrivere i nuovi regolamenti nazionali e rafforzare quelli esistenti. Oggi è fissato a 51 dollari per ogni tonnellata di Co2 rilasciata nell’atmosfera. Ed è fondamentale per concedere i permessi di trivellazione e valutare le perdite di raccolto e i rischi di inondazione. Con i piani di decarbonizzazione del Build back better Act bloccati al Congresso e la Corte Suprema che minaccia le facoltà Epa (Agenzia per la protezione ambientale), “costo sociale delle emissioni di gas serra” è diventato uno dei mezzi chiave per rispettare gli Accordi di Parigi.
Le perdite economiche derivanti del surriscaldamento globale sono da anni al centro del dibattito politico americano. Barack Obama, tra i padri del patto internazionale sul clima del 2015, aveva fissato la stima a 37 dollari per ogni tonnellata di Co2 rilasciata nell’atmosfera. L’amministrazione Trump, negli anni successivi, l’aveva abbassato notevolmente, tra gli 1 e i 7 dollari. Questo aveva fornito il pretesto per indebolire molte delle normative per la protezione dell’ambiente: i rischi per l’economia delle conseguenze della combustione dei combustibili fossili erano infatti considerati minimi. Quando è diventato presidente, Joe Biden invece ha convocato un gruppo di lavoro con i membri delle varie agenzie, per aggiornare il calcolo costi-benefici del surriscaldamento globale, in base agli ultimi report scientifici. Oggi la stima, adattata all’inflazione, è di 51 dollari. La decisione però non ha lasciato indifferenti gli Stati guidati dai repubblicani, che l’hanno contestata in tribunale. Una causa, davanti a un giudice distrettuale federale in Louisiana, ha stabilito che il calcolo era inutilizzabile. Una giuria della Corte d’appello però ha bloccato l’ordinanza e la questione è passata alla Corte Suprema. Con una sentenza senza commenti (come quelle che di solito regolano i dibattiti più urgenti), il 26 maggio i giudici hanno confermato la legittimità del social cost of carbon.
Gli avvocati dello stato della Louisiana si sono scagliati contro la bocciatura del ricorso. Hanno definito le stime “una presa di potere progettata per manipolare l’intero apparato normativo federale americano, attraverso costi e benefici speculativi, in modo che l’amministrazione Biden possa imporre i suoi risultati politici preferiti su ogni settore dell’economia americana”. I dati però – secondo il presidente – sono stati usati per anni. La Corte Suprema invece ha definito la sentenza del giudice distrettuale “sbagliata e prematura”. Gli stati non dovrebbero essere autorizzati a citare in giudizio le agenzie federali, prima che abbiano usato le stime sui costi del climate change per scrivere una qualsiasi norma, ha scritto il procuratore generale Elizabeth B. Prelogar. Le amministrazioni infatti non sono ancora state danneggiate, ma hanno contribuito a ritardare il lavoro del governo. “L’ingiunzione radicale del tribunale distrettuale avrebbe potuto causare danni irreparabili in tutto il ramo esecutivo – ha scritto Prelogar – Mentre era in vigore, ha ritardato o interrotto il lavoro che coinvolgeva regole, sovvenzioni, locazioni, permessi e altri progetti”. Secondo il procuratore generale, era impossibile fare affidamento su stime ancora considerate provvisorie. La sentenza della Corte Suprema invece permetterà a Joe Biden di stringere i regolamenti per contrastare il cambiamento climatico, per limitarne l’impatto sull’economia e sulla società.