di Jakub Stanislaw Golebiewski

Simone Pillon ha già cominciato la sua campagna elettorale e la conduce colpendo il suo bersaglio preferito, le donne e i loro diritti. Due sono i binari sui quali sta facendo propaganda elettorale: il suo disegno di legge 735, accantonato ma riesumato con l’arroganza di farlo approvare, e l’abrogazione della legge 194.

Il 21 maggio a Roma si è tenuta la manifestazione “Scegliamo la vita” promossa dalle associazioni Pro Vita e Famiglia e Family Day contro “la legge 194, l’eutanasia e l’inverno demografico” e lui era lì a sfilare da piazza della Repubblica fino a San Giovanni. I promotori sono gli stessi che organizzarono il World Family Congress di Verona nel marzo del 2019 con personaggi vicini all’estremismo di destra. I cosiddetti Pro Life sono tornati in piazza forse pure incoraggiati da quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, dove la Corte Suprema si sta per pronunciare sulla storica sentenza Roe vs Wade che nel 1973 rese legale l’aborto per le donne americane.

Il senatore Pillon, dopo aver indossato la solita divisa, il papillon, e arrotato il sorriso, ha guidato quel piccolo corteo di 4-5 mila persone che rappresentano un movimento integralista, un piccolo serbatoio di voti che potrebbe far comodo alla Lega e soprattutto a lui. Matteo Salvini del resto non ha mai guardato troppo per il sottile quando si tratta di accaparrare consensi, anche se si raccolgono tra l’estrema destra e integralisti cattolici che vorrebbero abrogare la legge che in Italia garantisce da 44 anni l’assistenza sanitaria alle donne che scelgono di abortire, e che vorrebbe mettere fuori legge anche l’eutanasia e pure l’inverno demografico. Chissà come poi. Forse imponendo una campagna di fecondazione forzata.

In un Paese che è a crescita zero a causa di salari bassi e della piaga del lavoro precario che colpisce soprattutto le donne, una su tre lavora al Nord e una su quattro al Sud, è pura follia pensare che la crescita zero sia causata dalle interruzioni volontarie di gravidanza invece che da problemi economici e sociali che nessun governo ha mai affrontato seriamente negli ultimi 20 anni e di cui l’Istat restituisce una foto sempre più drammatica di anno in anno.

Né il centro destra, né il centro sinistra hanno mai posto rimedio al problema della disoccupazione delle madri lavoratrici. Leggevo giorni fa i dati delle ricerche Eurostat del 2021 che rivelano come in Italia nella fascia delle 20.34enni il 35% non studia, non lavora e non per una libera scelta ma per mancanza di fiducia nelle possibilità di trovare spazi occupazionali. Solo il 57% delle madri in Italia lavora e i dati rivelano che dopo la pandemia il 72% dei lavoratori tornati al lavoro erano uomini. E’ evidente che le donne sono rimaste a casa durante la pandemia perdendo il posto di lavoro per svolgere il lavoro di cura.

Il punto è che in un sistema che azzera diritti, taglia il welfare, il lavoro di cura delle donne fa comodo, è gratuito – ovvero sfruttato – ed è un ammortizzatore sociale. Ma siccome non basta impoverire le donne, si deve anche metterle all’angolo con l’attacco alla 194, magari al grido “madri assassine”.

Per Pillon e i suoi, la data del 22 maggio 1978 è una ricorrenza nefasta anche se in Italia pose fine alla morte o a gravi conseguenze per le donne che ricorrevano all’aborto clandestino. Le meno fortunate perché più povere andavano dalle mammane, le più agiate si rivolgevano ai cucchiai d’oro. Ma questi integralisti che con arroganza si proclamano a favore della vita (come se ci potesse essere chi è contro) sembrano preferire il ritorno alla clandestinità dell’aborto, lasciando che le donne rischino ancora la vita o la salute per un utero perforato o per abuso di farmaci abortivi. Il fanatismo di posizioni intransigenti come quelle dei pro-life non tutela affatto la vita, anzi: portò in Irlanda alla morte della 31enne indiana Savita Halappanavar che nel 2013, dopo un aborto spontaneo, si vide negato un intervento medico e morì di setticemia. Una fine iniqua che diede il via ad una lunga battaglia per una legge che garantisse l’aborto alle donne irlandesi. E così fu fino alla vittoria.

In Irlanda l’aborto era negato nel 2013 eppure una sorte analoga è toccata, tre anni dopo, a Valentina Milluzzo che morì di setticemia a soli 32 anni all’ospedale Cannizzaro di Catania. Era incinta di due gemelli ma ci fu il distacco della placenta. I genitori hanno accusato i medici di non essere intervenuti perché dissero: “siamo obiettori”. L’agonia di Valentina Milluzzo fu terribile e i medici furono rinviati a giudizio per omicidio colposo perché la Procura ha deciso di escludere che si trattasse di una morte per obiezione di coscienza. Il processo è ancora in corso.

Un problema grave, quello dell’obiezione di coscienza, un cavallo di Troia che ha sabotato la legge svuotandone l’applicazione. Sono molte le testimonianze di donne che hanno raccontato il clima che si respira in alcuni reparti dove si pratica Ivg, tra ostilità misogine e il rischio di incappare in un obiettore, portantino, infermiere o medico.

Ma a Pillon e i suoi fanatici sostenitori non basta e probabilmente sognano una legge che vieti l’aborto o persino le sbarre per chi lo procura. Come il leghista Lorenzo Fontana che a Desenzano, nel 2011, firmò una proposta di legge per abrogare la 194 e introdurre il reato di aborto con pene da 8 a 12 anni, da infliggere a donne e medici.

Poi c’è l’altro binario su cui scorre la propaganda elettorale pilloniana, il riesumato ddl 735. Uno zombie di legge, contestata e affossata dopo le proteste tra il 2017 e il 2019, perché era un vero e proprio attacco alle donne e al diritto di separarsi senza coinvolgere i figli minori. Strumentalizzando la bigenitorialità, proposta a favore dei padri e non dei figli, il ddl Pillon di fatto ha rappresentato e rappresenta un arretramento in tema di diritti, perché impone mediazioni obbligatorie che rendono tortuoso, costoso e complesso più di quanto già non lo sia il processo separativo. Non solo, rimuove la violenza ed espone donne e bambini al controllo di uomini violenti, non riconosce le disparità economiche tra i coniugi e risponde alle disuguaglianze tra uomini e donne amplificandole invece di contrastarle.

E naturalmente il ddl Pillon introduceva quello che da decenni è uno strumento di vera e propria tortura familiare come la Pas, ovvero quell’alienazione parentale tanto invocata nei tribunali sulla quale la Corte di Cassazione si è pronunciata con ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022, confermando che si tratta di una teoria priva di fondamento scientifico e che su di essa non possono basarsi i provvedimenti dei giudici di merito.

Molto probabilmente tenterà entro fine legislatura di darlo in pasto al Parlamento, promettendo una pacchia per qualunque misogino che interpreti i diritti delle donne come privilegi da abbattere, come tutti gli integralisti, come Pillon.

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