L’Italia è l‘unico Paese sviluppato che dal 1990 ad oggi ha visto lo stipendio annuo medio diminuire. E gli effetti economici dell’invasione russa dell’Ucraina, dall’aumento delle bollette alla crescita dell’inflazione, stanno trasformando un annoso problema in un’emergenza sotto gli occhi di tutti. La fotografia di quanto gli italiani avvertano l’urgenza di un provvedimento è arrivata da una recente indagine condotta dall’istituto di ricerche Swg: l’86% degli intervistati si è espresso a favore di una legge sul salario minimo. I cittadini lo attendono, eppure il governo prende tempo, mentre dalle parti sociali arriva l’ennesimo attacco. Lo pronuncia il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, nelle conclusioni del congresso confederale: “Non serve una legge sulla rappresentanza né sul salario minimo“. Sono materie, ribadisce Sbarra, che “devono restare” nell’autonomia delle parti.
Un salario minimo legale serve a tutelare il potere di acquisto dei lavoratori (compresi quelli non coperti dai contratti collettivi) e mettere un freno al dumping salariale. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando finora ha tentennato sperando in un accordo tra le parti sociali, che continua ad essere ben lontano, come dimostrano le parole di Sbarra. Anche ieri Orlando ha ribadito: “È una vicenda importante che deve essere affrontata partendo da un accordo tra le parti sociali. Se questo non avviene la parola passa al Parlamento“. “La proposta che ho avanzato – ha detto – è di usare come salario minimo di ogni comparto i contratti comparativamente più rappresentativi di quel comparto. Ho trovato l’adesione del mondo sindacale e ancora una perplessità da parte di Confindustria, ma non di tutti i soggetti datoriali. Io mi auguro che lavorando su questo schema, integrandolo, si possa anche eventualmente trovare la via“.
Intanto però il tempo passa, di passi avanti non se ne vedono e la fine della legislatura è ormai vicina. Eppure il governo sa qual è la soluzione, le strade sono quelle indicate l’anno scorso dal gruppo di lavoro sulla povertà lavorativa nominato dallo stesso Orlando: introdurre un salario minimo per legge, far valere i contratti collettivi “principali” di ogni settore per tutti gli occupati di quel comparto o almeno, in attesa di venirne a capo, sperimentare il minimo legale nei settori in cui i lavoratori sono più fragili. La seconda ipotesi richiede, in assenza di un accordo tra sindacati e imprese, una legge sulla rappresentanza. Intanto, ci sarebbe già pronto il ddl Catalfo, che invece per ora resta bloccato in commissione Lavoro al Senato. Sul testo, che fissa una soglia minima di 9 euro lordi, da tempo il M5s invoca una convergenza con il Pd, senza successo. I dem a loro volta hanno una loro proposta che risale al 2019. Mentre Lega e Forza Italia finora si sono opposti.
Oggi al congresso della Cisl il segretario Sbarra rincara la dose: “Sarò pessimista, ma io ho una paura incredibile di delegare a governi e parlamenti pezzi di sovranità che abbiamo conquistato in quasi settant’anni di impegno sociale e sindacale in questo Paese, una condizione che ci rende unici in Europa e anche nel mondo”, afferma chiudendo i lavori del congresso. “Io – incalza – non cedo questa prerogativa e questa sovranità non vada delegata al parlamento per farla diventare merce di scambio elettorale, noi dobbiamo tutelare, salvaguardare nel perimetro dell’autonomia negoziale, contrattuale questo tema”. Sbarra sostiene che “la soluzione” contro il dumping salariale “a volerla trovare è davanti agli occhi di tutti. I contratti pirata vanno combattuti estendendo i contenuti contrattuali maggiormente rappresentativi in ogni settore e comparto di riferimento. Il governo vuole sapere quali sono i contratti maggiormente rappresentativi? Vada all’Inps, non in Parlamento, guardi i dati Uniemens e scoprirà l’incredibile e cioè che sono i nostri, quelli siglati da Cgil Cisl e Uil, dal sindacato confederale. La soluzione c’è e se c’è volontà vera è a portata di mano”, conclude Sbarra, “e possiamo definire subito un’intesa”.