Nell’immaginario del piccolo imprenditore solo le assenze per malattia, infortunio, permessi e ferie dei dipendenti “fannulloni” incidono sulla produzione e sulla produttività del lavoro. Perché sono assenze fisiche che, considerato il numero esiguo di lavoratori presenti in quelle realtà, vengono subito notate e, spesso, sanzionate.

Certo, l’assenza fisica ha un costo. Secondo uno studio fatto qualche anno fa dalla rivista “Society for Human Resource Management” dal titolo Total Financial Impact of Employee Absences, tenendo conto che i giorni lavorativi in un anno (escludendo sabato, domenica e le feste comandate) sono 250 pari a, più o meno, 2.000 ore), circa l’80% delle aziende per ovviare alle assenze dei propri dipendenti utilizza gli straordinari avendo un costo totale aggiuntivo che si aggira intorno al 2% della busta paga. Altro costo è quello legato alla perdita di produttività legata alla sostituzione dei lavoratori che mediamente si aggira intorno al 31,1%. Ultimo punto è quello legato all’azione dei dirigenti nel controllo e nella gestione delle assenze per i quali trascorrono una media di 4,2 ore alla settimana: praticamente il 10% della propria settimana lavorativa ed un totale di 210 ore all’anno per ogni dirigente.

Ma c’è un altro assenteismo, non fisico, che produce più costi: l’assenza di risultati (di efficienza) nel corso delle ore di presenza al lavoro. Quanto tempo, durante le ore di lavoro, si perde per attese inutili, riunioni inconcludenti, procedure inadeguate, informazioni distorte, decisioni rimandate? La mancanza di efficienza, conseguenza di queste situazioni, incide ben più pesantemente sulla produttività del lavoro rispetto all’assenteismo fisico di pochi lavoratori perché si verifica all’interno di quelle 2.000 ore di presenza di tutti gli altri.

Il piccolo imprenditore combatte solo il primo tipo di assenteismo. Ma al management della azienda compete l’obbligo morale e la responsabilità sociale di combattere l’assenteismo da risultati e di migliorare la produttività del lavoro durante il lavoro stesso. Sicuramente un retaggio mentale storico perché fino a qualche decennio fa il problema per il fondatore di quella impresa era la produttività manuale.

Oggi ma ancora più in futuro, nelle PMI la maggiore attenzione sarà da porre sulla produttività intellettuale, purtroppo finora largamente ignorata con l’alibi, ormai smentito, che il lavoro intellettuale (e di conseguenza la produttività intellettuale) non si può misurare. Ma la causa fondamentale – ne ho parlato due settimane fa su queste colonne – attiene al fatto che in quelle realtà mancano le competenze tecniche. A partire dall’imprenditore che non avendo talune conoscenze si fida dei “tempi e dei metodi di lavoro” dei suoi collaboratori compiacenti e, a loro volta, scarsamente competenti. Ma come può l’imprenditore verificare la produttività del suo addetto alla gestione finanziaria (!!) che si limita a fare un controllo dell’estratto conto se lui stesso non conosce neppure la differenza tra TAN e TAEG?

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