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Willie Peyote a FqMagazine: “La pornostalgia? Quando il futuro non ti dà certezze, l’unica è guardarsi le spalle”

Un disco che è un inno alla rassicurante nostalgia, specie in tempi di incertezza e paura del presente e del futuro. La penna di Willie Peyote torna a graffiare con “Pornostalgia” contro certa comicità, la discografia “alla you can eat” e i “multimiliardari che ora fanno i rivoluzionari” come Elon Musk

di Andrea Conti

“Pornostalgia” di Willie Peyote ha debuttato la scorsa settimana nella top 10 della classifica album della Fimi come la più alta new entry della settimana. Il nuovo album del rapper e cantautore torinese è uscito a 3 anni di distanza dal precedente lavoro “Iodegradabile” e ad un anno dalla partecipazione al Festival di Sanremo con “Mai dire mai (La locura), disco di platino e premio della Critica Mia Martini. Tredici brani inediti con le collaborazioni di Samuel, Jake La Furia, Speranza, Emanuela Fanelli, Michela Giraud, Aimone Romizi dei Fast Animals And Slow Kids e il producer bolognese Godblesscomputers. Dopo le tre tappe di maggio, Peyote e gli All Done sono pronti per presentare dal vivo i nuovi pezzi durante il tour che prenderà il via il 18 giugno.

Cosa rappresenta per te la Pornostalgia?
È il lato rassicurante e quasi pornografico della nostalgia, quando il futuro non ti dà certezze l’unica strada, per sentirsi più al sicuro, è guardarsi le spalle.

“Fare schifo” è il tuo primo singolo. Cosa ti fa schifo in questo momento?
In questo momento direi l’estrema polarizzazione nell’affrontare qualsiasi argomento.

“Qui il livello è vomitevole e io non voglio cedere che se lo fai una volta sei colpevole” canti in “Ufo”. Non c’è speranza per il mercato italiano “all you can eat”?
C’è speranza, nel momento in cui sono gli artisti per primi a cercare di andare un pò più in profondità e proporre qualcosa che possa durare anche un pò di più nel tempo e non solo funzionare subito.

Chi sono per te i “multimiliardari che ora fanno i rivoluzionari”?
Beh direi i prodotti della Silicon Valley e Elon Musk che compra Twitter.

Meglio una spocchia o la falsa modestia?
Direi che vanno dosate, dipende dal contesto. In un pezzo rap direi meglio la spocchia

“Avevo solo il pallone in comune con i miei compagni”. In cosa ti sentivi diverso?
Eravamo diversi sotto tanti punti di vista: la musica che ascoltavamo, i luoghi che frequentavamo e anche forse nell’idea di quello avremmo fatto poi da grandi. All’epoca, ad esempio, chi ascoltava rap era ben riconoscibile anche dall’abbigliamento.

Secondo te, cosa vuol dire diventare grandi nella società di oggi?
Non saprei, anche nel disco in effetti riesco a dare una risposta. Neppure Samuel, nel brano, è riuscito a darmi una risposta. Credo che diventare grandi voglia dire farsi le domande giuste, nel momento giusto.

“La cultura è roba di sinistra, ma è un filo classista”. Perché?
Spesso sembra che la cultura sia un passatempo ad appannaggio dei ceti più abbienti della popolazione mentre la cultura, per essere utile, dovrebbe essere accessibile a tutti, soprattutto ai ceti più bassi che sono quelli a cui la sinistra dovrebbe parlare.

“Pio e Amedeo sono il nuovo che avanza, la satira la fa Ezio Greggio, non c’è limite al peggio”. Cosa non ti piace della loro comicità?
Sembra nuova ma è più vecchia del Bagaglino. Penso, ad esempio, che il discorso fatto sul politicamente corretto parta dai presupposti sbagliati.

Cosa dobbiamo aspettarci dai tuoi prossimi live estivi?
Per riallacciare il discorso che è stato cosi bruscamente interrotto direi che sarà una occasione per fare un lungo excursus su tutto il percorso.

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