“Ho una grande fortuna che è quella di non aver mai provato odio per nessuno. Ho sempre sfruttato qualsiasi situazione, anche la più difficile, per crescere e imparare. Quello che conta è migliorarsi, e tutto quello che ha contribuito a rendere difficile la vita mi ha fortificato e mi ha portato a scrivere canzoni più “forti”. Forse ne avrei scritte di più brutte se non avessi passato quei momenti bui, non avrei superato le difficoltà che avevo nell’incontrare di nuovo la gente”. È un Marco Masini a cuore aperto quello che si racconta con il Corriere della Sera, parlando senza filtri di uno dei momenti più duri della sua vita, quello in cui dilagavano le insinuazione sul suo conto e veniva additato come “porta iella”.
“Se c’è una cosa che ho imparato da Ritorno al Futuro è che se potessi parlare al me stesso del 1991, la cosa peggiore che potrei fare è dirgli cosa lo farà soffrire, come non sbagliare, parlargli delle insidie dell’amore, di chi ti vuole male, in cosa credere e in cosa no, a cosa affidare il proprio cuore e le proprie speranze – confida Masini -: sono contento del cammino che ho fatto e non vorrei mai che un saggio consiglio dal me di oggi lo cambiasse. E se non commetti errori non rafforzerai mai la tua armatura esistenziale e professionale. Sbagliare è la cosa più importante della vita“.
Quindi una riflessione su cosa hanno significato gli anni ’90: “Era un periodo molto particolare, come già negli anni 80 andavamo alla ricerca di qualcosa che ci portasse fuori da un diffuso disagio generale: il nostro colpo di grazia, la mazzata finale, è stata Tangentopoli, quando la politica e gli uomini politici caddero come birilli la mia generazione così invischiata in tanti dubbi e paure non sapeva più dove e come innestare pensieri e sentimenti che giravano intorno a un disagio rabbioso e crudo. Io almeno ero così, e non avevo i social con cui sfogarmi”.
E ancora, una riflessione su quel “senso di disagio” che lo ha accompagnato in quegli anni: “Per certe cose non possiamo dire che i tempi siano cambiati. Ho cantato tutte cose che adesso sono ancora attuali: adesso per esempio viviamo una guerra vicino a casa, e viviamo una vita che ha bisogno di essere ordinata, calcolata, perché la crisi economica profonda in cui stiamo entrando lo impone, non è diverso da quello che succedeva nei Novanta. Allora abbiamo vissuto un terremoto politico che ci ha segnato e al quale alla fine ci siamo abituati perché il debito pubblico è aumentato e non ce ne siamo preoccupati, la politica non si è mai più rialzata in piedi e non ce ne siamo occupati. Non è dissimile da quello che abbiamo provato in questi giorni di continui terremoti all’Impruneta: alla fine ci siamo abituati anche alla terra che trema. Forse la differenza è che all’epoca ci si spaventava di più che adesso“, ha concluso.