Si mangiano tutto: prima nei terreni incolti, dove depongono le uova, poi in quelli adibiti a pascolo. Cavallette voraci e distruttrici, tanto numerose da sovrapporsi fino a rendere invisibili le strade e gli stessi campi. Basti dire che da ognuna di loro, da un anno all’altro, ne nascono 30. Ma quello che sta accadendo in Sardegna, con centinaia di aziende agricole al collasso soprattutto nel Nuorese e nell’alto Oristanese, era ampiamente prevedibile. Il fenomeno partito dalla piana di Ottana, si è esteso verso Noragugume, Bolotana, Olzai, Teti, Illorai, Sarule, Sedilo.
Un disastro che la task force (tardiva) messa in campo dalla Regione fatica ad arginare. Non basta l’impegno dei tecnici dell’agenzia Laore che, insieme a una società privata, stanno portando avanti i trattamenti fitosanitari per eliminare le locuste in fase di sviluppo.
LO SCONFORTO DELLE AZIENDE – “Se prima il problema era circoscritto, ora sta correndo in maniera esponenziale e non sappiamo fin dove si spingerà”. Tonino Coccollone ha 66 anni e lo dice con un mix di rabbia e sconforto. Nella sua vita da allevatore nell’azienda di famiglia, a Noragugume, si è trovato altre volte di fronte all’invasione delle cavallette. “Ma mai come adesso – assicura – perché di anno in anno la situazione si aggrava e l’invasione, se dal 2019 al 2021 era triplicata, oggi è praticamente decuplicata. Noi lo avevamo detto che bisognava incentivare l’aratura e la coltivazione dei campi, ma hanno fatto orecchie da mercante: dalla Regione solo propaganda, dicendo che hanno finanziato. Ma cosa? La gente magari pensa che ci abbiano dato ristori, invece a oggi non abbiamo ricevuto neanche un centesimo”. Ma sia chiaro: “Noi vogliamo lavorare, non vivere di elemosine che peraltro chissà quando arriveranno”. L’allevatore di Noragugume ha una drammatica certezza: “Fra 15 giorni non ci sarà più pascolo, stiamo già comprando mangimi e foraggi e non possiamo reggere più perché, oltretutto, dobbiamo fare i conti con i prezzi saliti alle stelle a seguito del Covid e della guerra in Ucraina“.
DRAMMA ANNUNCIATO – “Lo sapevamo e lo avevamo detto dal 2019 che se non si fosse intervenuti celermente e con una seria programmazione i risultati sarebbero stati questi”, accusa Leonardo Salis, presidente di Coldiretti Nuoro-Ogliastra, riferendosi all’invasione delle locuste che per il quarto anno consecutivo mette in ginocchio il mondo agricolo. Tutto drammaticamente prevedibile e previsto. “Se ne avevamo milioni nel 2019, sapevamo tutti che se non si fossero presi provvedimenti, i numeri sarebbero aumentati esponenzialmente e si sarebbero allargate territorialmente. La verità – è la constatazione di Salis – è che il problema è stato sottovalutato da tutti: dalla politica e non solo”.
Gli allarmi, i tentativi di arrivare a una soluzione sono caduti nel vuoto: “È dal 2019 che chiediamo una unità scientifica a capo del gruppo operativo che deve occuparsi di questo problema”. Invece? “Abbiamo dovuto sopportare anche qualche battuta ironica perché abbiamo contribuito a dare troppa risonanza mediatica alle cavallette. Eppure non dicevamo né più e né meno ciò che si sta capendo oggi, a distanza di ben quattro anni: bisogna programmare e intervenire nei tempi giusti e naturali evitando azioni massive in piena produzione con prodotti che sicuramente non distruggono chirurgicamente solo le cavallette”.
I NUMERI – Ma non ci sono certezze sul reale peso del devastante fenomeno. A insistere su questo punto è Alessandro Serra, che della Coldiretti Nuoro-Ogliastra è direttore, il quale evidenzia la necessità di conoscere con esattezza le cifre. A partire da quanti ettari interessa; quante aziende; qual è il flusso migratorio; dove si stanno dirigendo; quali sono i territori potenzialmente a rischio; quanto tempo servirà per debellare questa piaga; quali e quanti trattamenti stanno svolgendo e quanti ne servono; se sono efficaci o meno; quanti mezzi e persone hanno a disposizione; cosa possono fare le aziende.
“L’incertezza non aiuta ma crea divisioni e accresce il nervosismo. Anche perché – aggiunge Salis – a distanza di quattro anni in cui stanno lottando anche con il Covid e gli effetti delle guerre, le perdite sono ingenti. Noi, insieme alle aziende, siamo disponibili a collaborare perché l’unico obiettivo sconfiggere questa invasione”.
L’AGRONOMO – Sotto accusa ci sono anche le politiche comunitarie che hanno modificato i criteri per il pagamento del grano ai coltivatori, come evidenzia l’agronomo Ettore Crobu, che è anche docente all’istituto superiore Duca degli Abruzzi, a Cagliari. “In passato pagavano in base ai quintali, con un sostegno al prezzo del prodotto rispetto al valore di mercato, poi hanno deciso di calcolarlo in base alla superficie: questo ha portato a una minore coltivazione dei campi che, progressivamente, sono stati lasciati sempre più in abbandono”. Ciò ha favorito il proliferare dei celiferi che, golosi come sono, si sono poi fiondati sui terreni adibiti a pascolo e lavorati. “Si aggregano e migrano verso altre zone – conferma Ettore Crobu – purtroppo si è intervenuti molto tardi, quando ormai era emergenza”.
L’arma più efficace per debellare questa piaga è, secondo l’esperto, il ritorno alla lavorazione dei campi. “Bisogna prevedere opportuni finanziamenti che incentivino questo settore. Facendolo, ci sarebbero molteplici vantaggi: non avremmo superfici incolte che favoriscono gli incendi e si ridurrebbe la dipendenza da altri Paesi per quanto riguarda l’approvvigionamento di materie prime. Cosa che hanno capito tutti, con la guerra in corso in Ucraina”.
INTERROGAZIONE AL MINISTRO – Intanto c’è chi chiede lo stato di calamità. A farlo, con un’interrogazione al ministro per le Politiche agricole e forestali, è la deputata Lucia Scanu (Coraggio Italia) che sollecita, inoltre, l’attivazione di misure di disinfestazione anche in collaborazione con la Protezione civile e senza escludere l’Esercito.