Ancelotti, Benzema, Courtois e i suoi giovani: la zampata di Vinicius e le parata del portiere belga puniscono una macchina quasi perfetta come il Liverpool di Klopp, ennesima vittima di una squadra costruita per subire e vincere. La notte dello Stade de France consacra l'allenatore italiano nell'olimpo del pallone
È il minuto 89 della prima partita della Champions League 2021/22. A San Siro l’Inter ha tirato già 18 volte verso la porta difesa da Courtois, senza mai segnare. Si è illusa di poter battere il Real Madrid di Carlo Ancelotti. Poi un lampo di Camavinga e il sinistro di Rodrygo: i Blancos segnano, vincono. Ogni tanto il calcio manda dei segnali, lascia degli indizi lungo il percorso come fanno i bravi registi di un film giallo. Il Real Madrid dello scorso autunno non sembrava una squadra forte, eppure era già letale. Otto mesi dopo, nemmeno una macchina quasi perfetta come il Liverpool di Jurgen Klopp è riuscita a scalfire un destino che oggi appare prestabilito: il Real non gioca le finali, le vince (vedere tweet dei Blancos). Con Ancelotti in panchina, con le parate di Courtois, con Benzema, con la zampata di Vinicius, il 21enne che guida quel gruppo di giovani sapientemente costruito al fianco dei vari Modric, Kross e Alaba. E che, almeno per ora, non fa rimpiangere nemmeno il mancato arrivo di Mbappé.
LAS FINALES NO SE JUEGAN, SE GANAN.#CHAMP14NS
— Real Madrid C.F. (@realmadrid) May 28, 2022
Si è parlato tanto di fortuna. “Non ho mai visto uno che vince che non ha fortuna“, ha detto Ancelotti. Letale anche nelle dichiarazioni. Intanto però il suo Real ha eliminato uno dopo l’altro il Psg, il Chelsea e il Manchester City. La detentrice della coppa e due aspiranti vincitrici. Lo ha fatto sempre illudendo l’avversario di avere la partita in pugno, la qualificazione in tasca. Come se subire, apparire spacciati, fosse la condizione per poter riemergere e colpire all’improvviso. Cinici, al limite dello spietato, i Blancos sono arrivati così a una finale in cui tutti davano il Liverpool favorito e tutti credevano che alla fine avrebbe vinto il Real. In questo senso, l’ultimo atto della Champions League non ha tradito le attese: per la 14esima volta la coppa ha preso la direzione di Madrid. Il Liverpool ha giocato meglio, ha avuto più occasioni, per lunghi tratti ha dominato. Ma è stato punito da Vinicius, in una delle rare sortite offensive, e dalle parate di Courtois, semplicemente un muro invalicabile per Salah e compagni. Il portiere belga è indiscutibilmente il ‘man of the match’ della partita.
La notte dello Stade de France consacra infine Ancelotti nell’olimpo del pallone: il tecnico di Reggiolo diventa il primo allenatore a conquistare quattro Champions League in carriera, equamente suddivise tra Milan e Real Madrid. Nessuno come lui nella storia. C’è tanto della sua filosofia di calcio in questa vittoria: la sua squadra è diventata insuperabile innanzitutto credendo di esserlo. Ha sempre giocato con serenità, quasi nell’attesa che il destino facesse il suo corso. Anche in finale, mentre l’impeto dei Reds sembrava diventare travolgente, il Real indugiava, rallentava, amministrava. Già pregustava il momento in cui Marcelo avrebbe alzato al cielo l’ennesima coppa. Una squadra letale.