Al centro delle sue opere - circa una trentina di libri di narrativa e saggistica, tradotte in diverse lingue - i temi della libertà e della dignità dell'individuo, degli umiliati e degli offesi
Boris Pahor, lo scrittore e intellettuale triestino di lingua slovena, è morto all’età di 108 anni. Classe 1913, Pahor era fortemente legato alla comunità slovena della Venezia Giulia ed era divenuto un riferimento per i giovani letterati sloveni. Al centro delle sue opere – circa una trentina di libri di narrativa e saggistica tradotti in diverse lingue, tra cui Qui è proibito parlare, Il rogo nel porto, La villa sul lago, La città nel golfo – i temi della libertà e della dignità dell’individuo, degli umiliati e degli offesi.
Pahor ha vinto diversi premi letterari, nel 2007 è stato insignito della Legion d’onore. Nel 2020, il conferimento del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana in occasione del quale aveva dichiarato: “Dedico le onorificenze a tutti i morti, alla memoria di tutti i morti, che sono tanti tanti. Cominciando dal fascismo e dal nazismo e un po’ anche la dittatura comunista. Ho avuto da fare con tutte e tre io”. È ritenuto una delle voci letterarie più importanti sulle deportazioni nei lager nazisti – a cui è sopravvissuto e di cui lo scrittore parla in Necropoli (1967) – e sulla discriminazione subita dalla minoranza slovena triestina durante il regime fascista.