di Roberta Ravello
ùIn data 3 maggio ultimo scorso è stata depositata alla Camera e al Senato la proposta di legge per il riconoscimento della vulvodinia (che affligge le donne) e della Neuropatia del Pudendo (il corrispettivo maschile della problematica) nei Livelli Essenziali di Assistenza del Sistema Sanitario Nazionale. La proposta è nata raccogliendo le istanze del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo che ha ascoltato medici, pazienti e loro familiari, pertanto è il frutto di un lavoro partecipato dal basso, che ha trovato l’appoggio trasversale della gran parte dei gruppi parlamentari che sono intervenuti durante la conferenza stampa di lancio: PD, M5s, FI, IV, Lega, Coraggio Italia, +Europa. Difficilmente si arriverà all’approvazione della legge in questa legislatura che è al suo epilogo, ma alcune regioni si sono attivate. Il Veneto, ad esempio, ha approvato l’avvio di un percorso diagnostico terapeutico per vulvodinìa e neuropatia del pudendo.
Di che malattia si tratta? Una patologia cronica e dolorosa – infiammatoria – che riguarda molte persone, spesso invalidante, ma poco studiata e oggetto di un preoccupante ritardo diagnostico. Chi ne è colpito deve affrontare costi ingenti per le cure oppure rinunciarvi. Secondo le stime, una donna su 7 soffre nell’arco della sua vita di questo problema che, se non diagnosticato e trattato, può cronicizzarsi. Gli uomini sembrano meno colpiti, o forse divulgano di meno il loro problema per paura del giudizio, ma non per questo non ne soffrono, visto che le due sindromi hanno pesanti ricadute sulla salute sessuale per entrambi i sessi.
La vulvodinia ha un ritardo di diagnosi di quasi 5 anni in media e le ragioni sono diverse. Spesso alcuni dei sintomi vengono confusi con vaginiti e cistiti e le cure antibiotiche sono pertanto inadeguate. Anzi, rischiano di peggiorare la situazione. Una donna vulvodinica deve essere seguita da più figure professionali: la ginecologa, l’urologo, l’ostetrica o la fisioterapista che fanno la riabilitazione del pavimento pelvico. In Italia i medici specializzati nella cura di vulvodinia e neuropatia del pudendo sono pochissimi, così come i centri che si occupano in modo integrato delle due malattie. È dunque fondamentale supportare il riconoscimento di queste patologie multifattoriali, che non sono di immediata soluzione: ci vogliono mesi o anni per uscirne, ma anche per prenderne consapevolezza.
Nonostante questo, sui social e sui blog, ci sono persone che dileggiano chi si sta impegnando per portare alla conoscenza pubblica del problema liquidando il tutto come “medical drama” quando sono i vip a farsene portavoce, o come bisogno di visibilità quando si tratta di persone comuni, scordandosi che parlarne è metà della soluzione e che una malattia, solo perché colpisce gli organi genitali, non ha meno dignità di altre. Dovremmo smetterla di considerare il pube bassofondo – in modo dispregiativo – solo perché come regione anatomica sta in basso e rispettare chi soffre di patologie che lo colpiscono con la stessa empatia che riserveremmo a chi soffre di sindromi che colpiscono la sfera alta del corpo, tipo l’emicrania. Chi si sognerebbe di bullizzare chi fa outing di cefalea? E allora perché farlo con chi confessa di soffrire di vulvodinia?
Afferma il Comitato: “Queste malattie non sono rare, eppure sono misconosciute dal personale medico e dalla società in modo tale da precludere in numerosi casi l’accesso alle cure, a causa dell’assenza di specialisti formati nelle strutture pubbliche, degli alti costi dei protocolli di cura e del ritardo diagnostico causato dall’invalidazione dei sintomi, liquidati come psicosomatici o con diagnosi errate. Le conseguenze sulla qualità della vita sono pessime ed è dunque arrivato il momento che lo Stato e il Servizio Sanitario Nazionale riconoscano e si prendano carico di questo: queste malattie esistono e si possono curare, accettiamole e diamo loro un percorso adeguato di terapia”.