Le decisioni sono arrivate praticamente in contemporanea, come prevedibile. La Corte d’assise di Taranto ha depositato l’ordinanza con cui ha rigettato la richiesta di dissequestrare l’area a caldo degli impianti ex Ilva e subito dopo il ministero dello Sviluppo Economico ha dato il via libera alla proroga del contratto fino al 31 maggio 2024 tra Ilva in As, ArcelorMittal e Invitalia. Quindi nessun obbligo di acquisto immediato, lo Stato non sale al 60% di Acciaierie d’Italia né versa altri 680 milioni di euro attraverso Invitalia. E i sindacati già protestano per una decisione che rischia di rallentare il piano di rilancio del siderurgico tarantino, in agonia da ormai dieci anni. Il dissequestro degli impianti era infatti una delle clausole sospensive del contratto firmato tra la multinazionale dell’acciaio e la società controllata dal Mef che avrebbe potuto impedire – come avvenuto ora – il passaggio di quote e quindi il controllo della newco da parte di Invitalia. Palla al centro e tutto rinviato di due anni. Con i sindacati già in agitazione per una decisione “presa senza confronto sul destino dei lavoratori”, dice il segretario della Fiom Cgil Michele De Palma. Mentre per Rocco Palombella, leader della Uilm, la scelta “senza batter ciglio” del ministro Giancarlo Giorgetti è “l’ennesimo macigno” sul futuro dell’ex Ilva, che ipoteticamente potrebbe avere una nuova tappa intermedia tra appena un anno alla scadenza delle prescrizioni Aia e conseguente parere dell’Ispra.
La vicenda del non-dissequestro – In questa vicenda, il rigetto della richiesta di dissequestro da parte della Corte d’assise di Taranto, lo stesso collegio che esattamente un anno fa aveva emesso pesanti condanne nel maxi-processo Ambiente Svenduto sulla gestione Riva, ha un peso specifico notevole. L’accordo tra ArcelorMittal e Invitalia prevedeva espressamente che il cambio al vertice di Acciaierie d’Italia sarebbe potuto avvenire solo se il siderurgico fosse stato libero da ogni laccio e lacciuolo giudiziario, compresi i sequestri. Ad aprile i commissari di Ilva in As avevano chiesto, attraverso i legali Angelo Loreto e Filippo Dinacci, di togliere i sigilli alla fabbrica parlando di un impianto sicuro per tutti, lavoratori e cittadini di Taranto, anche grazie all’adeguamento all’Autorizzazione integrata ambientale ormai completo al 90%, sottolineando tra le altre cose che la famiglia Riva, che aveva guidato l’acciaieria fino al sequestro, ha “definitivamente rinunciato a qualsiasi diritto sulla società”. Un secco no alla richiesta era arrivato dalla procura ionica: in un provvedimento di 21 pagine inviato alla Corte d’assise, i pubblici ministeri tarantini avevano sottolineato come si siano recentemente verificate nuove emissioni di benzoapirene oltre i limiti come non accadeva dal 2012, oltre a ricordare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e la Valutazione del danno sanitario del 2021. Una ricostruzione che deve aver convinto i giudici.
E adesso cosa accadrà? – Con la firma di oggi Giorgetti ha autorizzato i commissari straordinari di Ilva in As a sottoscrivere una modifica del contratto quadro con ArcelorMittal e Invitalia, con il parere favorevole già espresso dal comitato di sorveglianza. È quindi prevista una proroga di due anni dei termini, in scadenza oggi, entro cui debbano verificarsi le condizioni che vincolano Acciaierie d’Italia all’obbligo di acquisto dei complessi aziendali, tuttora in affitto. “In relazione ai profili occupazionali, agli investimenti per l’ammodernamento degli impianti e agli interventi di riqualificazione ambientale vengono confermati, con rimodulazione delle tempistiche, gli impegni già previsti nel piano industriale”, ha specificato il Mise. E secondo l’amministratrice delegata Lucia Morselli la proroga è “utile” perché dà il tempo di “terminare il piano ambientale” e “di impostare i prossimi investimenti”. La priorità – ha detto ancora Morselli – è “la normalità, essere un’azienda normale, avere un orizzonte abbastanza lungo sul quale lavorare e lavorare per quelli che sono i piani e gli investimenti concordati per gli azionisti”. Per Invitalia, la proroga vuol dire la conferma di “un ambizioso piano di investimenti ambientali e industriali per circa 1,7 miliardi di euro fino al 2026, per la progressiva decarbonizzazione della produzione e l’assorbimento dei 10.700 lavoratori impegnati negli stabilimenti del gruppo”. Di tutt’altro segno rispetto a quello di Morselli – che resta ad in quota Mittal, mentre Franco Bernabè rimane presidente in quota Invitalia – è il parere dei sindacati, secondo cui la decisione non fa altro che aumentare l’incertezza attorno all’impianto.
Fiom e Uilm in allerta: si prolunga l’incertezza – “La decisione di spostare di due anni la conclusione del percorso di acquisizione degli impianti da parte dello Stato non ha alcuna giustificazione: il rinvio dell’ingresso in maggioranza di Invitalia e la firma di un contratto senza trasparenza sui contenuti – attacca il segretario dei metalmeccanici della Cgil De Palma – La scelta di rinviare avrà ulteriori ripercussioni sulle condizioni degli impianti, anche in termini di sicurezza, sulla cassa integrazione per i lavoratori del gruppo e sugli investimenti per assicurare il futuro dell’industria e la transizione ambientale”. E annuncia quindi che la Fiom discuterà “con le altre organizzazioni sindacali le iniziative da intraprendere”, chiedendo inoltre l’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi visto che l’ex Ilva è una “questione nazionale”. Il leader della Uilm Palombella si chiede “cosa comporterà per i lavoratori” una proroga di due anni visto che la cassa integrazione straordinaria – accordata dal ministero del Lavoro e non firmata dai sindacati – “doveva traguardare a un anno” la certezza del mantenimento dei posti di lavoro. “Ancora una volta – dice ancora il segretario della Uilm – si compiono scelte incoscienti che non tengono conto di quello che stanno vivendo proprio i lavoratori e i cittadini”. Lo stabilimento di Taranto, conclude, “non può reggere al peso di queste incertezze” e il governo “dovrebbe solo chiedere scusa per il modo in cui sta gestendo” l’ex Ilva, con il “rischio di mandare all’aria qualsiasi progetto di risanamento ambientale e di salvaguardia produttiva e occupazionale”. Una tappa intermedia potrebbe riproporsi tra un anno, quando Ispra sarà chiamata a valutare in maniera definitiva, vista la scadenza delle prescrizioni Aia nell’agosto del 2023, se tutti gli investimenti ambientali previsti nelle prescrizioni sono stati portati a termine. A quel punto, c’è già chi avanza l’ipotesi che i commissari presentino una nuova istanza di dissequestro ai giudici.