“Massima conoscibilità e trasparenza” di tutte le informazioni che riguardano l’ambiente o possono influire sulla sua tutela. Sulle basi di questo principio una recente sentenza del Tar del Piemonte apre una breccia nel muro cui l’anno scorso si è trovata di fronte l’associazione Greenpeace, che aveva chiesto a 66 università pubbliche di svelare gli accordi in essere con Eni su didattica e ricerca, e i finanziamenti ricevuti dalla compagnia petrolifera. Salvo ricevere perlopiù silenzio, dinieghi o informazioni parziali in risposta a una serie di istanze di accesso agli atti che puntavano a capire se Eni riuscisse a incidere sulle scelte degli atenei e ad avere uno sguardo più consapevole sugli esiti degli studi in materia ambientale prodotti dalle università.
Tra gli atenei che avevano rifiutato di fornire informazioni, il Politecnico di Torino che con Eni ha in essere un’alleanza per lo studio delle risorse energetiche marine. Ma quel rifiuto secondo i giudici amministrativi era illegittimo. La loro decisione ruota attorno un’interpretazione piuttosto innovativa del concetto di “informazione ambientale”, una tipologia di informazione soggetta a un elevato grado di conoscibilità tutelato da una direttiva europea del 2003, successiva alla Convenzione di Aarhus del 1998. L’orientamento prevalente fino a oggi è stato di considerare come “informazioni ambientali” solo i dati direttamente attinenti ad aria, suolo, acqua e agli altri elementi dell’ambiente oppure quelli attinenti ai fattori in grado di incidere direttamente sull’ambiente, come per esempio emissioni, rumore e radiazioni. Un’accezione limitata cui aveva fatto riferimento anche il Tar della Lombardia, che lo scorso settembre aveva dato ragione al Politecnico di Milano in un analogo ricorso presentato da Greenpeace dopo il diniego ricevuto alla richiesta di informazioni sugli accordi esistenti con Eni.
Ma su tale orientamento non è d’accordo il Tar del Piemonte, secondo cui il decreto di recepimento della direttiva europea “riflette l’esigenza che le informazioni ambientali trovino massima diffusione e circolino senza restrizioni, poiché la conoscenza di questo tipo di dati – e, quindi, l’accesso alla relativa documentazione – non soddisfa semplicemente un interesse del privato istante, ma è condizione per la realizzazione dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente nella più ampia accezione possibile”. Per i giudici amministrativi è “evidente lo stretto legame che esiste tra circolazione delle informazioni, partecipazione dei cittadini e raggiungimento dell’obiettivo finale di tutela dell’ambiente naturale”. E il concetto di “informazione ambientale” non riguarda solo i dati e i documenti in immediata correlazione con il bene ambiente, “ma anche le scelte, le azioni e qualsivoglia attività amministrativa che ad esso faccia riferimento”. I documenti chiesti da Greenpeace al Politecnico di Torino non possono essere rifiutati perché sono “espressione di un’attività amministrativa che, direttamente o indirettamente, involge l’ambiente e la sua tutela”.
Secondo l’avvocato di Greenpeace, Alessandro Gariglio, “la sentenza riconosce che il concetto di ambiente oggi è un concetto ampio, su cui ha influenza tutto ciò che può portare ad attività che non lo tutelino o che sviluppino inquinamento. Come potrebbe avvenire a seguito di ricerche scientifiche non attente alle ricadute ambientali”. Ora bisogna vedere se l’interpretazione dei giudici piemontesi verrà accolta dal Consiglio di Stato, che dovrà decidere sui ricorsi presentati da ateneo torinese ed Eni, secondo cui i finanziamenti a corsi di laurea e ricerca non sono fattori in grado di avere conseguenze sull’ambiente. Tali informazioni – sostengono – non sono dunque degne di un elevato grado di trasparenza, ma anzi potrebbero danneggiare, se diffuse, gli interessi economici e commerciali di Eni. La prima udienza è fissata per il 7 giugno. “Al di là del concetto di informazione ambientale – dice Gariglio – non si capisce perché non si debba sapere se un’università pubblica, che è un ente pubblico, abbia preso dei finanziamenti da un privato e perché li abbia presi”.
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