Come sempre, i greci la sapevano lunga. “Il greco antico utilizzava diversi termini per definire le possibili declinazioni dell’amore: Eros, il desiderio passionale; Philia, l’amore tra amici; Storge, l’affetto verso i propri familiari; Anteros, l’amore corrisposto; Himeros, il desiderio fisico; Pothos, la tensione verso ciò che desideriamo; Thélema, il piacere per ciò che si fa; e Agape, l’amore incondizionato e universale”. Così scrivono i curatori di Photolux Festival, nel presentare la biennale internazionale che si tiene a Lucca (aperta il 21 maggio, ma che proseguirà fino al 12 giugno) con mostre ed eventi sul tema dell’amore, termine oggi privo di tutte le sfaccettature di cui gli ellenici erano capaci.

“La maggior parte delle lingue moderne non è così precisa”, spiegano ancora i promotori di Photolux 2022, “e spesso, come annotava Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, oggi ‘si tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, distratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze'”. Pensiamo a quanto è sminuito oggi il termine, privato del suo noumeno (come lo definiva Platone, giusto per restare in tema di greci), quando, per strada, ascoltiamo fidanzatine e fidanzatini o mamme e bimbi (per carità, tutti incolpevoli…) che si chiamano ‘amore’ o peggio ‘amo’ laddove la parola amore diviene una sorta di connotazione automatica, routinaria, a volte persino esibizionistica, svuotata dal suo profondo, antico e polimorfe significato.

Ma lasciamo perdere la semantica e torniamo alla rassegna di Lucca, che non abbraccia solo il mondo della fotografia erotica (il titolo della ‘puntata’ di quest’anno è You can call it love e il programma completo reperibile su http://www.photoluxfestival.it). Anche se il termine non è mai così ben definibile (un’immagine può essere erotica per qualcuno o non erotica per un altro…) qui (anche per motivi di spazio) citerò solo due mostre, con l’obiettivo di sottolineare come la suggestione visiva della fotografia possa restituire alla parola ‘amore’ i suoi significati primigeni.

La prima mostra è quella sui ritratti di famiglia (titolo: In Almost Every Picture #16 – Sexy Sofa) del fotografo olandese Erik Kessels, specializzato in foto solo apparentemente assurde o umoristiche, che stavolta ha immortalato due sposi, Noud e Ruby, due persone tutt’altro che glamour (e proprio qui sta la loro bellezza più profonda): nel 1965 Noud e Ruby decidono, in occasione dell’acquisto di un soggiorno in stile mid-century, di inaugurarlo in maniera assai particolare. Il loro entusiasmo per il nuovo sofà li porta a trasformarlo in un set fotografico ed erotico che, via via, in dieci anni, segna i mutamenti dei gusti che si evolvono (o si involvono) e della loro complicità sessuale, della loro “intimità domestica”. Non erano foto destinate a una esposizione pubblica, ma (con l’autorizzazione delle figlie di Noud e Rudy) sono uscite dalle pareti casalinghe: “Uno degli aspetti più straordinari della fotografia: ci permette di avere il controllo sull’immagine di noi stessi che vogliamo lasciarci alle spalle”, scrivono i curatori della mostra. Immagini che manifestano l’amore profondo che lega i due.

La seconda mostra è quella del fotografo Gianfranco Salis dedicata ai set di Tinto Brass. Romano, Salis, è stato inizialmente allievo di Tazio Secchiaroli, poi ha lavorato, dai primi anni 70, come fotografo di scena con Squitieri, Monicelli, Ferreri, Loy, Scola, Risi, Zeffirelli. Ma anche con artisti come Ceroli, De Kooning, il poeta Ezra Pound, Fellini (in Amarcord e I clown) e De Sica (ne Il viaggio) per divenire poi il fotografo ufficiale di Brass. Una grande retrospettiva che ripercorre la carriera cinematografica del regista veneziano. In mostra, però, non ci sono soltanto le immagini di Salis (120 foto di set del Maestro), ma sono presenti sceneggiature, bozzetti di scenografie e costumi, polaroid dei provini, manifesti, lettere dell’archivio privato del regista oggi 86enne che, dopo la scomparsa dell’amata Tinta (Carla Cipriani), si è risposato con la psicologa giuridica Caterina Varzi. Una mostra che fa conoscere non solo il Brass di film puntati sull’erotismo (quello da La chiave del 1983, in avanti), ma anche il Brass di Chi lavora è perduto (’63) ed Action (’80), fra le sue iniziali regie politiche e sovversive, quello cresciuto a fianco di Roberto Rossellini e Joris Ivens, quello appassionato della Nouvelle Vague parigina e grande studioso del montaggio di Sergei Eisenstein.

Nella mostra il Maestro è ritratto anche con alcuni dei suoi attori preferiti (Alberto Sordi, Jean Louis Trintignant, Ewa Aulin, Anita Sanders, Tina Aumont, Gigi Proietti, Vanessa Redgrave, Franco Nero). E non manca neppure “una particolare sezione della rassegna, riservata ai maggiorenni, dedicata alle immagini più proibite”. Viene proiettato anche il docu-film Istintobrass di Massimiliano Zanin che ripercorre la carriera del regista, anche attraverso le testimonianze di attori e critici. In definitiva, da Kassel a Salis, amore a tutto campo.

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