Il Parlamento va in vacanza per due settimane. Non per le ferie estive né per le feste comandate, ma per le elezioni comunali e i referendum sulla giustizia: i lavori di Camera e Senato si interromperanno fino al 12 giugno per consentire agli eletti di fare campagna elettorale sui territori. Una prassi consolidata, ma parecchio indigesta in un periodo in cui il ruolo delle Camere è già stato ampiamente sacrificato in nome dell’emergenza bellica e delle scadenze del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La sospensione “elettorale” infatti costringe a ritardare la discussione di provvedimenti urgentissimi, dal disegno di legge sulla concorrenza – bloccato per mesi sul nodo delle concessioni balneari e approvato in prima lettura dal Senato – alla riforma della legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura, il cui rinnovo è previsto a luglio (anche se probabilmente slitterà a settembre).
In particolare, l’ultima seduta d’Aula a Montecitorio è stata fissata al 1° giugno: all’ordine del giorno c’è lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata. Dopodiché più nulla fino al 13, cioè il giorno dopo l’election day in 980 comuni, quando si discuterà proprio della conversione del decreto legge che ha accorpato referendum e amministrative (oltreché del ddl per introdurre in Costituzione il valore dello sport). Chiudono – a tempo indeterminato – anche le Commissioni: la Affari costituzionali e la Commercio hanno calendarizzato l’ultima seduta al 1° giugno, tutte le altre tra il 30 e il 31 maggio, tranne la Esteri e la Difesa che, nonostante il quadro internazionale, non si riuniscono rispettivamente dal 26 e dal 25 maggio scorsi. E i prossimi appuntamenti non sono ancora fissati.
Va ancora peggio a Palazzo Madama: qui è lo stesso sito istituzionale ad avvertire che “i lavori del Senato saranno sospesi nella settimana dal 6 al 10 giugno, in relazione alle elezioni amministrative e ai referendum del 12 giugno 2022”. In realtà però, complice la settimana corta, i giorni di inattività saranno 14: l’assemblea si è riunita l’ultima volta lunedì 30 maggio, il giorno dell’ok al ddl Concorrenza. E la prossima seduta è calendarizzata solo martedì 14 giugno, quando è previsto il voto finale sul disegno di legge delega sulla riforma del Codice degli appalti, già approvato dal Senato lo scorso marzo ma modificato nelle ultime settimane alla Camera. Un provvedimento che il Pnrr impegna il governo ad approvare entro il 30 giugno: i tempi quindi diventano strettissimi. Anche qui le Commissioni si fermano fino a data da destinarsi.
A far pesare la lunga pausa parlamentare c’è anche il fatto che il premier Mario Draghi non ha riferito alle Camere sulla guerra in Ucraina prima di volare al Consiglio europeo straordinario, e a questo punto non lo farà prima di metà giugno. Qualche giorno fa, infatti, palazzo Madama ha bocciato la richiesta presentata dalla capogruppo del Movimento 5 Stelle, Mariolina Castellone, e sottoscritta da Fratelli d’Italia e Alternativa. “Il governo non riferisce al Parlamento che si riunirà dopo 20 giorni in piena crisi economica e bellica con la pandemia che ancora lascia i suoi segni; e noi mandiamo Draghi a dire quello che vuole lui in Europa e ce ne stiamo tranquillamente a casa a farci i fatti nostri”, faceva notare in Aula l’ex M5S Emanuele Dessì, ora iscritto al Partito comunista. Infine, volendo, c’è l’aspetto più venale: tra indennità, diaria e rimborsi spese, i parlamentari percepiscono tra i 17 e i 18mila euro per un mese di lavoro. O meglio, in questo caso, per due settimane.