Il destino della guerra di aggressione della Russia in Ucraina passa per una strada, la E97, che simbolicamente collega la Georgia, con la cui invasione nel 2008 Putin aveva dimostrato al mondo le sue intenzioni bellicose e revisioniste. Si trova a Kherson, il primo (e per ora unico) capoluogo di un oblast ucraino a cadere sotto occupazione russa dall’inizio delle ostilità il 24 febbraio. Ci misero meno di una settimana le truppe di Mosca ad avere la meglio sui difensori ucraini: negli ultimi mesi, le autorità locali e di Kiev si sono impegnate a indagare a fondo, a fine guerra, su come mai non siano state piazzate mine né ostacoli fisici per frenare l’avanzata delle truppe d’invasione, permettendo così ai mezzi russi – di solito bolsi e a corto di carburante – di spostarsi con rapidità incredibile e mai più osservata da allora dalle basi in Crimea alla città di Kherson, raggiunta addirittura la sera dello stesso 24 febbraio. Sembra, inoltre, ingiustificabile che le truppe ucraine non abbiano ingaggiato quelle russe fino alla battaglia per lo strategico ponte Antonovskiy il 25 febbraio, praticamente in faccia a Kherson e ultimo grande attraversamento del Dnepr prima del Mar Nero. Nessuno pensò nemmeno di far saltare quel ponte, costringendo i Russi a restare in un’area scoperta e senza punti dove costruire in sicurezza un ponte di barche. Niente di niente. Il 2 marzo i russi entrarono in città e si sedettero a trattare col sindaco Ihor Kolykhaiev (quello di “Kherson è Ucraina” e della bandiera ucraina srotolata davanti al municipio), salvo poi sostituirlo a fine aprile con un’amministrazione militare, nominando come primo cittadino un deputato della Duma russa, il quasi omonimo Igor Kastyukevich. Da allora, Kherson è stata teatro di frequenti manifestazioni popolari contro l’occupazione e di violente reazioni da parte delle forze russe. Dei circa 280mila residenti presenti in città nel 2021, 150mila sono ancora presenti. Le storie di violenza e deportazioni – spesso ai danni di minori – riferite da chi è riuscito a fuggire non sono meno atroci di quelle testimoniate a Bucha e Irpin.

Eppure, proprio a Kherson l’occupazione russa dell’Ucraina ha il suo ventre molle. La città, infatti, è collegata alle basi russe – e ai relativi rifornimenti – solo attraverso due strade: la E97 (che va in direzione nord-ovest sud-est dalla stessa Kherson verso la Crimea) e la M14, un’autostrada che collega – in direzione ovest est- Kherson a Melitopol, altra città sottoposta a occupazione russa e ormai famosa per le imprese dei partigiani ucraini. La E97 si spiega nel mezzo di un’area pianeggiante, che alterna coltivazioni, paludi e aree sabbiose, offrendo poche o punte coperture in caso di attacchi con obici e droni. Il recente dispiegamento di batterie di sistemi antimissile S300 in Crimea induce a pensare che i generali russi ritengano necessario uno strumento che permetta sia di colpire in profondità sia di coprirsi in caso di attacchi verso il territorio e le basi crimeane. In definitiva, questa strada potrebbe permettere un rapido rinculo verso la “fortezza Crimea”, che persino Zelensky pare ritenere ragionevolmente irrecuperabile con mezzi militari.

La M14 ha due enormi difetti: passa nei pressi di un’area boscosa, quindi ideale per attacchi improvvisi anche ad opera di piccoli gruppi di combattenti dotati di armi anticarro portatili. Non solo. La strada conduce verso il nulla, nel senso che la stessa Melitopol è tutt’altro che agevolmente controllata dai russi e potrebbe diventare oggetto di una prossima controffensiva. Che Kherson sia vulnerabile è dimostrato dalla controffensiva ucraina iniziata la scorsa settimana, che ha permesso di compiere rapidi avanzamenti ai danni di truppe impreparate e da mesi impegnate soprattutto a tenere le posizioni. Non risulta nemmeno che gli ucraini abbiano fatto un uso massiccio degli obici e dei mezzi arrivati più di recente dai Paesi della NATO: a dar credito alle testimonianze degli ufficiali di Kiev, la ritirata delle prime linee ha gettato nel panico il resto dei soldati russi, agevolando di molto l’azione degli ucraini. Per fare un paragone è – in piccolo – quanto successe nel 1917 durante la dodicesima battaglia dell’Isonzo, quando la ritirata di Caporetto gettò nel panico le truppe italiane. È un segnale: le truppe russe hanno i nervi a fior di pelle.

Se è da dubitare che gli ucraini attaccheranno direttamente Kherson, per non provocare una strage fra i civili, è possibile che cercheranno di avvicinarsi il più possibile proprio alla E97 e alla M14, per tagliare i rifornimenti ma soprattutto per minacciare di togliere una o entrambe le vie di fuga ai russi. Se non restasse che una strada aperta, difficilmente si arroccherebbero a Kherson, col rischio magari che qualcuno faccia saltare il ponte Antonovskiy e li blocchi sulla sponda occidentale del Dniepr. Si aggiunga a questo il fatto che – per loro scelta strategica – Putin e i suoi generali stanno esercitando la massima pressione nell’area di Luhansk e devono tenere a bada gli ucraini dalle parti di Kharkiv, sia dal territorio ancora occupato dell’omonimo oblast sia dal territorio russo: di conseguenza, è da dubitare che possano aumentare lo sforzo bellico sul fronte di Kherson. Fra l’altro hanno potuto rifornire le truppe impegnate nell’oblast di Kharkiv – dove si trova la stessa Melitopol – solo con vetusti tank T-62 e T-80, quasi mai con meno di trent’anni di servizio alle spalle. Insomma, pezzi di ferro e bersagli facili per MLaw e Javelin.

Ecco, quindi, perché Kherson è il ventre molle dell’intera occupazione russa dell’Ucraina: mentre il quadro militare non può migliorare molto per i russi, il territorio presenta le condizioni fisiche – strade di accesso obbligate, alternanza di zone pianeggianti e boscose, un fiume eccezionalmente ampio, pochi attraversamenti – per mettere in crisi la logistica e il morale delle truppe russe. Proprio i due elementi che hanno messo in mostra davanti al mondo il pessimo stato delle forze armate di Putin.

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