Stefano Buschi, Stefano Busci. Il primo verbale d’arresto era quasi un segno premonitore. Nel cognome sbagliato ripetutamente. Spogliato degli abiti e dei suoi diritti.
Pestaggi e depistaggi. I processi sull’omicidio di Stefano Cucchi hanno chiarito incontrovertibilmente chi è stato, chi ha causato le lesioni mortali, chi ha omesso, chi ha cercato di nascondere le prove. Sconfessando platealmente quanti, anche nel mondo politico, hanno continuato fino all’ultimo a sostenere che fu la droga la causa della morte. E’ per droga che la notte del 16 ottobre 2009 Stefano è stato portato nella caserma dei carabinieri, ma non è quella che lo ha ucciso, bensì i pestaggi subiti e le omissioni negligenti dei sanitari.
Il suo corpo, la sua pelle è stata oggetto di lesioni, di colpi violenti. La sua pelle è la nostra pelle. Di chi negli anni ha continuato a lottare per la verità e la giustizia a fianco della sorella Ilaria e dell’avvocato Fabio Anselmo, che nonostante campagne di diffamazione e intimidazioni non si sono mai arresi.
Ho voluto raccontare la storia di Stefano nel mio disco “Note di cronaca” anche per ricordare che non è un caso isolato. Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Franco Mastrogiovanni, Riccardo Rasman… sono solo alcune tra le vittime della violenza, di quel potere che si considera invincibile e impunito, nonché dell’indifferenza.
Nel videoclip che esce oggi abbiamo deciso di raccontarlo in bianco e nero. Nero come la morte, bianco come il lenzuolo che lo ha coperto e che copre le coscienze dei colpevoli. Girato in un luogo spoglio e grigio, come la cella dove era costretto, il luogo in cui è entrato giovane e pieno di speranze e ne è uscito cadavere all’insaputa dei familiari.
“Quanta violenza sotto questo cielo” cantava Renato Zero. Era la canzone preferita di Stefano. Oggi finalmente, dalla Cassazione arrivano pagine di verità, “perle d’oro nell’immensità”.